Sono 16 le denunce presentate in Basilicata dalle donne vittime di violenza nel 2022 e di queste 13 per maltrattamenti, due per stalking e una per altri motivi: lo ha reso noto stamani, a Potenza, l’associazione “Telefono Donna” che ha presentato un report riepilogativo della situazione fino al 31 ottobre scorso.
L’associazione, che svolge la sua attività di volontariato a Potenza attraverso il Centro antiviolenza, la Casa rifugio e a Venosa attraverso lo Sportello Donna, nell’anno in corso ha aperto 90 nuove schede di intervento e ha svolto 62 colloqui con donne provenienti per lo più dalla provincia di Potenza (41 richieste). Di queste sono 16 (il 17,7% sul totale delle schede, con un calo del 4% rispetto all’anno scorso quando furono 25 su 130 schede) coloro che hanno dato seguito ai consigli delle operatrici volontarie e hanno proceduto alla denuncia.
“Un anno di lavoro – ha detto la presidente di Telefono Donna, Cinzia Marroccoli – ha messo in evidenza la diminuzione delle denunce per un senso di sfiducia verso le istituzioni e verso il percorso giudiziario. Le donne hanno paura di non essere tutelate nel momento in cui fanno la denuncia, temono che il percorso sia lungo, pesante, doloroso, temono di essere di nuovo vittimizzate e che la loro parola sia messa in discussione”.
Nell’analisi sugli autori delle violenze, il Centro evidenzia che la metà è ad opera di marito o ex: “C’è un incremento tra le fasce d’età estreme – spiega Marroccoli – tra i 18 e i 25 anni e per le over 65. Ed è quest’ultima la situazione che maggiormente ci preoccupa perché nei colloqui si sono evidenziati anni e anni di vessazioni e angherie e molto spesso sono proprio i figli che cercano di far desistere dal presentare denuncia”.
Telefono Donna attualmente ospita 17 persone nella casa rifugio dedicata a Ester Scardaccione, mentre segue 14 donne allo Sportello Donna “Mariangela Latorre” di Venosa.
La Marroccoli, infine, ha rappresentato il disappunto dell’associazione “per la scarsa collaborazione avuta dal Comune di Potenza, dato che non ci ha messo a disposizione né una sede, né una casa per le quali paghiamo il fitto” e per “un rapporto spesso conflittuale con gli assistenti sociali comunali”.