Lettera aperta di Paolo Manzione
Quattro o cinque di quelli buoni, perplessi, seduti sul parapetto di uno di quei ponti del remoto Duce, ancora esistenti e resistenti, guardavano meravigliati l’alto frascame nell’antico fiume, una volta maestoso, scavato a mano dai loro genitori per necessità e per strappare all’acqua un lembo di terra fertile, pur sempre poca.
Stranamente non parlavano del regio fiume, “Lu lagnu reggiunu” parlavano di un antico sentimento, non dell’onestà, essi parlavano della coscienza, sentivo: “Ma cuscienza ni tenini? Abbiamo pagato tanti soldi, c’è stato pure l’aumento!”. Il chiacchiericcio si articolava, coinvolgendo ciascuna delle parti in dialogo fra i presenti, come un parlottio controllato e ordinato, non molesto, ma informato fra più persone. Loro parlavano di compensi, di alcune migliaia di euro, parlavano delle componenti politiche elette nel consiglio di amministrazione del “CONSORZIO DI BONIFICA VALLO DI DIANO E TANAGRO”.
“Il presidente io non l’ho mai visto, non lo conosco, pigliani lu stipendiu, ah ecco perche c’è stato l’aumento, servivano soldi, chi lo sa?”. Uno dei contadini, “uno degli ultimi rimasti”, più teso, tetro, guardava la sua casa posta sotto l’argine, al lato del ponte, “Siamo ritornati indietro nel tempo, quando gli argini si ruppero e le mucche di mio padre si trovarono nell’acqua fino al collo!”, a ruota arrivò la risposta di uno di quelli che col vissuto raccontava fatti veri, secondo me il presidente non sa di queste inondazioni, esso abiterà forse in una zona alta, in collina.
“Meglio prima, quando queste frasche le rubavamo al fiume, senza pagare alcun tributo, per fare fascine necessarie per il forno per la cottura del pane!”.
Incazzato il più attento replicò: “Questa è una emergenza se non provvedono a pulire il fiume, al più presto, da questa vegetazione, cari miei in questo inverno, nel Vallo di Diano, na ma nicà tutti quanti!”.
– Paolo Manzione –