Che il Pd sia diventato antipatico è fuori dubbio: qualcuno ha detto che si presenta “con la simpatia di una raccomandata di Equitalia.”
Non manca, poi, chi sostiene debba cambiare nome, come se cambiandolo trovasse subito e di conseguenza una identità diversa. È anche probabile che l’insofferenza derivi dalla classe dirigente dem, quella che ha governato dieci anni degli ultimi dodici senza vincere mai nelle urne. E per questo ha causato danni al partito acquisendo l’abitudine al potere. Infatti viene visto come il partito dei ministri e delle poltrone. Poco vale se in definitiva si è comportato da partito responsabile e istituzionale caricandosi di colpe procurate da altri e non è mai scappato dalle responsabilità conseguenti. Ma proprio così il Pd ha dimenticato le sue origini, gli sono marcite le radici della sua provenienza: il comunismo italiano e la sinistra democristiana. Qualità che imponevano un dialogo giornaliero con le classi e le estrazioni periferiche della società, un impegno costante a difesa delle disuguaglianze, delle sperequazioni sociali, la capacità di colloquiare con i più deboli. Insomma, il Pd non è riuscito più a interpretare la paura della gente più esposta, non ha capito la solitudine dei cittadini, non ha colto le angosce dei giovani.
Si direbbe sia rimasto assente dal divenire quotidiano dei bisogni delle famiglie e dai problemi dei lavoratori, proprio quel Pd che rappresentava il substrato del ceto operaio, agricolo e delle maestranze, la tutela degli insegnanti e dei docenti. Giorno dopo giorno è subentrata una perdita di empatia tra la politica interpretata dal Pd e quelle classi sociali, chiamate “zoccolo duro”, che portavano il partito a vivere le situazioni emotive. È subentrata così una specie di dimenticanza dei problemi. Ecco i motivi della sfiducia, le cause dell’astensionismo a sinistra, le ragioni di una dimenticanza reciproca. Sta di fatto che negli ultimi tempi l’elettorato ha stranamente premiato chi è stato all’opposizione e non chi si è assunto la responsabilità di governare. Addossare tutte le colpe a Enrico Letta per non aver formato quel blocco necessario tale da contrastare la destra Meloni-Salvini-Berlusconi? Ma niente affatto, le colpe sono di tutti, sono di quanti si sono messi di traverso affinchè la rottura fosse inevitabile e di quelli che hanno rotto senza esitare. Ricevendo così i ringraziamenti della Meloni. Perché poi sia chiaro che il centrodestra ha vinto domenica 25 settembre, ma non è maggioranza nel Paese.
Il suo partito ha incamerato i consensi della Lega salviniana e una grande porzione proveniente dagli elettori del M5S. Come dire che l’area politica destrorsa non è irreversibile, men che meno totale. La nuova area politica non è e non può essere quella di Giuseppe Conte, per evidente mancanza di cultura politica tradizionale: non basta il “reddito di cittadinanza”. E, però, nemmeno è pensabile che basta indire un congresso per decidere se stare con Calenda o con Conte. Il Pd deve innanzitutto capire come stare con se stesso e con la gente. Ne va della sua sopravvivenza.
– Franco Iorio –