Un racconto fatto di emozioni ma anche di grande preoccupazione per ciò che sta succedendo e per tutto ciò che potrebbe continuare a succedere.
Dalle parole di Roberta Nolè, 31enne di Potenza che di mestiere fa l’operatore tv, il racconto dal fronte di guerra. Roberta, insieme a un gruppo di lavoro, per alcune settimane ha lavorato in Ucraina, a Leopoli, per conto della Rai.
Un’esperienza davvero importante, che non ha nulla a che vedere – ci racconta – con quello che si vede in tv. “Vivere certe scene con i propri occhi fa davvero un altro effetto”, racconta a Ondanews. Le sirene per avvisare dei possibili attacchi dal cielo, le urla degli ucraini, l’esercito a lavoro, le corse per raggiungere i bunker più vicini, le esplosioni a pochi passi. La consapevolezza di offrire, sì, un servizio importante per le popolazioni, l’informazione, ma anche il grande rischio che si corre nel lavorare in queste aree.
“Quando nei primi giorni della guerra accendevo la tv – dichiara – mi chiedevo se ero in grado di fare il lavoro che facevano i miei colleghi in Ucraina. Li osservavo e giorno dopo giorno vedevo cambiare i loro volti, aumentare le loro preoccupazioni. Poi la telefonata di un collega e la disponibilità a partire sul fronte di guerra, per documentare, raccontare tutto”.
“Alla proposta – ci ha confidato – non ci ho pensato nemmeno un secondo. Sì, immediatamente. Giubbotto antiproiettile, passaporto, casco, attrezzatura e si parte, con il dolore di comunicare questa scelta alla famiglia. Ma siamo partiti, con l’aereo da Roma diretto a Varsavia. Marco, il giornalista, era già a Leopoli, ci ha mandato una macchina al confine. Poi per i tanti problemi abbiamo raggiunto Leopoli metà a piedi e poi con un passaggio in auto. Uno strazio vedere una lunga fila di persone, mamme e bambini, in coda verso la salvezza”.
Roberta racconta che gli avvisi per gli attacchi aerei arrivano via Telegram. In strada, suoni assurdi, sirene, brividi, paure. La città che si svuota e tutti nei rifugi antiaerei, nei bunker, per ore, fino al cessato rischio. “Ho visto gente pregare, bambini giocare – racconta -. Davvero tutto difficile. In stazione le scene più tristi, forse quel luogo è stato sempre il più significativo di tutto il viaggio. Sicuramente quello che non dimenticherò mai, con i bambini che salutano dai finestrini per fuggire dalla guerra”.
“Diverse volte – spiega Roberta – mi è capitato di ritrovarmi di fronte a uomini armati che hanno chiesto di non registrare, anche arrabbiati. In alcuni casi la Polizia ci ha salvati. Ma il nostro lavoro non si è mai fermato. Abbiamo dovuto raccontare dei bambini malati oncologici, degli attacchi nei pressi dell’ospedale, all’aeroporto. Scene che fanno male al cuore. Emozionante, toccante, vedere i bambini affacciati ai finestrini salutare il loro papà. Nei loro occhi tanta tristezza, chissà se si rincontreranno ancora o se è stata l’ultima volta”.
“Ci hanno raccontato che presto anche la Bielorussia entrerà in guerra” ha detto Roberta, che ha concluso: “In una guerra nessun posto è sicuro, tutto può succedere da un momento all’altro”.
Un lavoro importante quello di Roberta e del gruppo di lavoro di cui ha fatto parte. Così com’è prezioso il lavoro dei tanti giornalisti e fotografi che stanno documentando questa guerra che sembra, purtroppo, non voler cessare presto. Roberta, rientrata in Italia, ha dovuto affrontare un’altra emergenza: la positività al Covid dal 28 marzo scorso. Per fortuna sta bene ma il suo pensiero è per la popolazione ucraina che ha visto e conosciuto di persona. E ha toccato con mano la grande emergenza.