I Finanzieri del Comando Provinciale di Salerno hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP del locale Tribunale su richiesta della Procura, nei confronti del 63enne siriano Taher Al Kayali, allo stato latitante, indagato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. I fatti contestati si ricollegano al sequestro di un quantitativo superiore alle 17 tonnellate tra captagon e hashish eseguito nel mese di giugno del 2020 nel porto di Salerno, nascoste all’interno di container commerciali provenienti dalla Siria e in transito presso il locale scalo commerciale, con destinazione finale Arabia Saudita e Libia.
I successivi approfondimenti investigativi avviati all’indomani dei sequestri dei Nuclei di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e Salerno, sotto la direzione della Procura Distrettuale, consentirono di ipotizzare la responsabilità di un soggetto di origini siciliane residente in Svizzera, il 47enne Alberto Eros Amato, e di uno spedizioniere doganale salernitano, il 51enne Giuliantonio Apicella, che furono raggiunti da una misura cautelare nell’agosto 2021 in quanto considerati responsabili dell’intermediazione logistica dei carichi di sostanza stupefacente provenienti dalla Siria.
Per tali fatti l’ulteriore sviluppo processuale ha condotto alla condanna di Amato alla pena di 10 anni di reclusione, recentemente confermata dalla Corte d’Appello, mentre per Apicella è ancora in corso il processo innanzi al Tribunale di Salerno. Parallelamente, l’attenzione investigativa è stata rivolta all’individuazione del mittente della droga e delle operazioni di trasporto, originariamente rimasto sconosciuto, identificato allo stato delle investigazioni e secondo la prospettiva accusatoria ritenuta fondata dal Giudice per le indagini preliminari in Al Kayali. A tale conclusione si è ritenuto di poter pervenire in base all’analisi forense di telefoni cellulari da cui sono stati estrapolati alcuni messaggi verosimilmente scambiati utilizzando le piattaforme Whatsapp e Telegram con Amato, al quale sarebbero state fornite istruzioni sulle procedure da seguire, con specifico riferimento alla pratica del “tramacco”, consistente nel trasferire la merce di copertura dagli originari contenitori in altri “nazionalizzati” in modo tale da far perdere le tracce della provenienza del carico, giustificando tali artifici con documentazione commerciale di accompagnamento emessa da aziende compiacenti.
Il modus operandi ipotizzato consisteva nell’eliminazione di ogni indizio da cui risalire all’origine siriana della spedizione, al fine di evitare le ispezioni doganali a cui sarebbero stati sottoposti negli scali intermedi i container contenenti lo stupefacente, in quanto provenienti dal porto di Latakia in Siria, Paese inserito in “black list” del sistema doganale.
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