Lettera aperta alla redazione – di Maria Antonietta Rosa
La neve, il freddo, il gelo di questi giorni mi hanno fatto pensare a chi lo vive senza una casa, senza il calore di una famiglia, abbandonato, spesso, in una stazione tra l’incuria e l’indifferenza di chi avrebbe il dovere di preoccuparsi di uomini che, perdendo una casa, hanno perso anche la propria dignità. Cosa fanno le Istituzioni italiane, le varie assistenze sociali? Si preoccupano di loro solo per pochi giorni di grande freddo? La morte di molti senza tetto, a causa del gelo, ci è arrivata tra tante notizie di cronaca, ma tutti loro non avevano né un nome, un volto.
Non sono razzista, ma mi sorge spontanea un’amara e triste considerazione: i senza tetto non hanno una patria, né una residenza, vengono fuori da situazioni familiari disastrose e disastrate, fatte di abbandono, di situazioni economiche irrisolvibili, di depressioni che sembrano incurabili. Vengono fuori da guerre quotidiane e dopo aver lottato invano si arrendono. Molti di loro, spesso, hanno una nazionalità italiana, di cui il nostro Stato si dimentica. Se ne prendono cura solo alcune associazioni di volontari e la Caritas, offrendo loro qualche pasto caldo e delle coperte, che vengono appoggiate su corpi che giacciono a terra su letti di cartone, lungo i marciapiedi. Esseri umani, ancora viventi, che sembrano invisibili perchè la gente che passa non li degna di uno sguardo, eppure sono uomini, o almeno lo erano fino ad ieri. Ad accorgersi di loro sono i cani randagi, randagi come gli umani che hanno subito lo stesso abbandono da parte di una società che dovrebbe mostrare la propria civiltà, soprattutto, da come vengono trattati i più deboli, Gandhi ce l’ha insegnato.
Non bastano coperte, dormitori ed auto offerte per le notti di gelo, ed i centri commerciali aperti, anche per loro, quando la temperatura supera i 40 gradi. Solo allora ci si accorge, per puro egoismo, che essi sono nostri fratelli e che la notizia della loro morte potrebbe disturbare, per qualche istante, le nostre vacanze natalizie e quelle estive. L’appellativo, di origine francese, clochard, sembra volere cancellare, elegantemente, il termine di barbone, di miserabile, di emarginato, di “dimenticato”. Sono sicura, con dolore, che se i nostri senzatetto avessero tutti una nazionalità straniera, come gli immigrati, troverebbero, facilmente, alberghi che aprono loro le porte, con camere riscaldate, pasti cucinati da chef, dove potrebbero risiedere per un lungo periodo e non solo per pochi giorni. Chi ridarà loro mai un nome, un volto ed una dignità perduta, pur essendo cittadini della Repubblica Italiana, con tutti i diritti che la nostra Costituzione dovrebbe garantire loro? Basterebbero psicologi, come quelli di Medici senza Frontiere, un’assistenza sociale operante, non solo sulla carta, ma sul territorio, leggi che diano la possibilità di lavoro non solo agli immigrati ma anche a coloro i quali annegano nel mare dell’indifferenza, senza aver mai preso un barcone anche essendo giunti, ormai, alla deriva.
– Maria Antonietta Rosa –