Mucopolisaccaridosi 3. Sembra uno scioglilingua ma per tanti genitori è diventato un termine tristemente familiare. È il termine scientifico che identifica una rara malattia genetica chiamata Sindrome di Sanfilippo e per la quale, purtroppo, non c’è cura. Erika Manzo di Sala Consilina, mamma del piccolo Michele, 9 anni, dopo un lungo percorso ha scoperto che il suo bambino era affetto da questa tremenda malattia. Il mondo le è crollato addosso ma Erika trova ogni giorno la forza per rialzarsi e per sostenere il suo piccolo.
In questa particolare giornata dedicata a livello mondiale alle Malattie rare le abbiamo rivolto qualche domanda.
- Erika, cos’è la Sindrome di Sanfilippo?
La mucopolisaccaridosi di tipo III, detta anche Sindrome di Sanfilippo, si divide in A B C D. Michele ha la mps 3A. E’ una malattia metabolica neurodegenerativa determinata da un errore genetico nel metabolismo a causa di un enzima mancante. Sostanze tossiche si accumulano nelle cellule causando un rapido declino cognitivo e, successivamente, motorio, fino alla morte. La maggior parte dei bimbi affetti non raggiunge l’età adulta.
- Cosa vuol dire avere a che fare con una rara malattia?
Vuol dire vivere con consapevolezza, sperare ma sempre con i piedi per terra, ritrovarti a volte davanti ai medici e dover spiegare cosa ha tuo figlio. Purtroppo data la rarità della malattia e la poca conoscenza diventa tutto più difficile. Non essendoci una cura, un farmaco che può aiutare la loro quotidianità, viviamo alla giornata, al momento, affrontando ogni situazione che si palesa e confrontandoci con altri genitori che fanno parte dell’associazione.
- Come ve ne siete accorti?
Istinto di mamma forse, ma io ho sempre visto qualcosa che non andava in lui. Fino a circa tre anni è stato completamente autonomo, parlava bene ma era iperattivo, troppo iperattivo. All’asilo non riusciva mai a stare fermo o seduto con gli altri bambini. L’unico modo per tranquillizzarlo un poco era dargli un pallone perché amava giocare a calcio. Piano piano ha cominciato a perdere le parole fino a non dire neanche “mamma”, ha messo di nuovo il pannolino e da lì è iniziata la nostra avventura con medici, specialisti, neuropsichiatri. Abbiamo girato per diversi ospedali ma la diagnosi non c’era. Per la maggior parte dei medici, Michele era semplicemente viziato, poi autistico, fino a quando siamo arrivati a Roma a “La Sapienza”. Oggi non parla, ha difficoltà a camminare e nella mobilità delle braccia e purtroppo comincia anche ad avere difficoltà nel deglutire.
- Come avete reagito?
All’inizio non si reagisce. E’ stata una doccia fredda, mi si è gelato il sangue anche perché, appunto, in piena pandemia purtroppo lì a Roma ero da sola. La prima cosa che feci appena arrivati a casa fu cercare su Facebook un’associazione, vidi il fan più attivo e contattai immediatamente Marianna Bruno. Dopo aver parlato con lei piansi tanto, piansi tutte le mie lacrime perché mi ritrovai di fronte ad un mostro invisibile. Poi si reagisce, ovviamente non tutti allo stesso modo ma si metabolizza, si guarda in faccia il proprio figlio e ci si rimbocca le maniche. Nel mio caso cerco di rendere la sua vita al meglio, di fargli vivere ogni istante ma soprattutto di farlo ridere. Fin quando lui sorride io reagisco sorridendo!
- Quanto è difficile affrontare quotidianamente una malattia rara nel nostro territorio?
La difficoltà nel nostro territorio è essere ancora più rari. Questa malattia è difficile da affrontare ovunque ma nel nostro territorio lo è ancor di più perché non abbiamo strutture adatte. Bisogna fare km ogni volta anche per una sciocchezza, non c’è personale anche se intorno a Miky ci sono persone fantastiche che pur non conoscendo la malattia ci provano e lo aiutano tanto. Ad esempio la sua fisioterapista dolcissima che riesce a fargli fare esercizio o la sua educatrice che lo ama, l’infermiera che è disponibile h24 e ogni volta gli porta un regalino, le sue maestre, i suoi compagni che gli vogliono un bene pazzesco e non lo escludono mai.
- Un ruolo importante ha l’associazione Sanfilippo Fighters.
L’associazione ha un ruolo fondamentale secondo me perché ti ritrovi con genitori che parlano la tua stessa lingua. Si piange insieme, si lotta insieme, ci si dà coraggio e si ci svaga perché abbiamo bisogno anche di questo. L’associazione diventa una famiglia sparsa per l’Italia, ti dà quella carica in più. Vorrei ringraziare la presidente Katia Moletta per averla creata!
- Durante una nostra chiacchierata mi hai detto che non ami il termine bambino “speciale”. Perché?
Si è vero, non amo il termine speciale per definire i bambini con disabilità perché a mio parere tutti a modo nostro siamo speciali, unici. Mi rendo conto che spesso viene usato il termine “speciale” per non usare disabile perché purtroppo ancora oggi si ha paura della diversità, di un qualcosa che va fuori dalle righe. Non amo usare il termine “normale” perché in fondo chi è che stabilisce il concetto di normalità? Per me Michele è la mia normalità, la mia quotidianità.
- Erika, sei una “mamma coraggio”. Come affronti questo percorso sapendo anche della gravità della malattia?
Non è coraggio, è semplicemente amore per i propri figli. Si è forti perché non si ha scelta, siamo con le spalle al muro e dobbiamo avere per forza quel “coraggio” per poter continuare a sorridere alla vita. Cerco di non pensare al domani, di non pensare al futuro, soprattutto ad un futuro che obiettivamente non sarà dei migliori. “Chi si ferma è perduto”, ecco, io non mi fermo a pensare perché se mi fermo anche solo per un istante a pensare al domani non riesco a vivere neanche oggi. Di solito sono i genitori ad insegnare ai propri figli, a me è il contrario. Mio figlio ha insegnato a me come si vive e l’importanza delle piccole cose.
- Quanto è importante sostenere la ricerca scientifica?
Sostenere la ricerca è importantissimo. Purtroppo Michele è ormai grande ma per i bimbi che verranno la ricerca è speranza, la ricerca è vita.
- Qual è il tuo messaggio?
Di vivere oggi, ridere sempre e non arrendersi mai. Infine vorrei mandare un abbraccio fin lassù dove ci sono degli angeli che vegliano su di noi, Raul e Cris, due ragazzi Sanfilippo.