Nuove regole sono in vigore dal 1° marzo grazie alla riforma Cartabia per snellire le procedure processuali in tema di separazione e divorzio dei coniugi il cui iter, da questo momento, dovrebbe divenire più semplice. L’obiettivo prioritario è quello di accorciare i tempi attraverso una serie di novità introdotte dalla riforma avviata dall’ex ministro della Giustizia.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Antonio De Paola, noto cassazionista, sempre molto attento e sensibile ad analizzare con occhio esperto e professionale le novità introdotte dal legislatore.
- Avvocato, in cosa consistono le novità introdotte dalla riforma Cartabia in tema di divorzio?
Prima di rispondere succintamente alla domanda, è necessario rendere una doverosa precisazione, ossia chiarire che cosa si intende con il termine divorzio come comunemente assunto nel linguaggio comune. Nel linguaggio corrente, nel termine divorzio vengono accomunate più fattispecie formali: la separazione personale dei coniugi, la dichiarazione di nullità o annullabilità del matrimonio, la cessazione degli effetti civili dello stesso. La separazione non incide sul vincolo negoziale matrimoniale. Il Tribunale autorizza i coniugi a vivere separatamente quando la convivenza rende intollerabile la prosecuzione della convivenza o reca grave pregiudizio all’educazione della prole. La dichiarazione di annullabilità o nullità del matrimonio incide sul vincolo allorché contratto invalidamente. La cessazione degli effetti civili incide sulla prosecuzione degli effetti, diritti e doveri dei coniugi, scaturenti dal matrimonio validamente contratto. Fatta questa doverosa precisazione, la casistica più elevata riguarda le separazioni personali e la cessazione degli effetti civili del matrimonio (impropriamente indicata divorzio). Tanto per la separazione che per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, prima della riforma Cartabia il procedimento, ove contenzioso, cioè non richiesto dai coniugi consensualmente, era bifasico: una prima fase si svolgeva innanzi al Presidente del Tribunale, adito a mezzo ricorso, che ascoltava i coniugi, tentava la conciliazione tra gli stessi, adottava i provvedimenti “temporanei” in ordine all’assegnazione dell’abitazione coniugale, all’affidamento della prole, ove presente di età minore e/o economicamente non autosufficiente, determinava l’assegno di mantenimento per i figli non autosufficienti economicamente ed, eventualmente, per il coniuge economicamente svantaggiato, rimettendo le parti innanzi al Giudice Istruttore per la completa cognizione delle ragioni delle parti, quindi questo riferiva al Collegio in Camera di Consiglio per la decisione. Prima di ogni decisione assumenda, il Magistrato chiedeva il parere obbligatorio ma non vincolante del Procuratore della Repubblica. Se i procedimenti erano consensuali, si compariva direttamente innanzi al Collegio Tribunalizio che omologava le determinazioni dei coniugi mediante decreto in caso di separazione personale; mediante sentenza in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, con un residuo controllo sulle determinazioni, anche economiche, riguardanti i figli economicamente non autosufficienti. Anche in questi procedimenti il Pubblico Ministro rendeva parere obbligatorio ma non vincolante. Tra la separazione e il divorzio (cessazione degli effetti civili del matrimonio) devono trascorrere termini di legge di un anno dalla comparizione innanzi al Presidente del Tribunale e il passaggio in giudicato della sentenza che autorizzava la separazione personale dei coniugi. Con la riforma del 2014, la separazione personale dei coniugi e la cessazione degli effetti civili del matrimonio possono essere stipulate innanzi all’ufficiale dello stato civile con il controllo successivo del Procuratore della Repubblica, al quale le parti dovevano depositare copia dell’accordo prevedendosi, in caso di omissione, la condanna al pagamento di rilevante sanzione pecuniaria. Con la riforma ”Cartabia” viene eliminata la fase Presidenziale, sicché la comparizione dei coniugi avviene direttamente innanzi al Tribunale o innanzi al Giudice Istruttore nominato dal Presidente del Collegio. Viene introdotta la facoltà delle parti di richiedere con una sola azione la separazione personale dei coniugi e la cessazione degli effetti civili del matrimonio (sempre nel rispetto dei termini innanzi riportati), viene introdotta la possibilità, ove la richiedano entrambe le parti, che il Tribunale o il Giudice Istruttore delegato sia assistito da uno o più esperti “laici”; altra novità è l’audizione dei figli ultradodicenni e anche minori di detta età, purché capaci di discernimento (almeno che questi rifiutino di essere sentiti). Verrà, infine, istituito il Tribunale della famiglia al quale verranno affidati tutte le materie afferenti la persona (incapacità), adozioni, misure civili in caso di abusi delle relazioni familiari, in attesa della prevista sottrazione di tutte le competenze del Tribunale per i Minorenni in materia civile.
- Che ruolo assumono i minori in questa nuova riforma del divorzio? Sono maggiormente tutelati, semmai ve ne fosse ulteriormente bisogno?
In tutto il diritto, e in quello di famiglia in particolare, il minore dovrebbe essere il soggetto al quale rivolgere tutte le tutele possibili ed immaginabili. Questa aspettativa o esigenza non può essere demandata esclusivamente all’Organo Giurisdizionale, ma dovrebbe essere affidata alla sensibilità dei genitori, anche e soprattutto in caso di crisi del rapporto di coniugio. Si dovrebbe evitare che il rapporto di genitorialità venga strumentalizzato e usato come mezzo di pressioni per l’ottenimento di pretese irragionevoli o non pertinenti tra i coniugi, rimarcando con la necessaria sensibilità che la crisi coniugale, e conseguentemente, dell’intero nucleo familiare, si riverbera negativamente sulla personalità dei figli, soprattutto in età precoce o adolescenziale, periodo nel quale si forma la personalità, sicché traumi interni ed esterni si ripercuoteranno anche in futuro sulla ventura persona adulta. La tutela del minore, come già detto, non può essere affidata solo alla Giurisdizione o agli Organi preposti presenti sul territorio. In caso di crisi, però, queste Istituzioni devono adeguatamente, seriamente e fattivamente supportare i genitori che risultino non all’altezza del compito e della funzione genitoriale, segnalando all’Autorità Giudiziaria competente l’adozione di provvedimenti anche drastici che tutelino il minore.
• Meno di un anno per dirsi addio, ma nella pratica sarà davvero così? I Tribunali sapranno essere così rapidi? E, soprattutto, ci sono abbastanza giudici per fare fronte a queste novità procedimentali?
Certo, in caso di assenza di questioni rilevanti, in poco più di un anno si può arrivare alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Non è mai un “addio” perché, nella maggior parte dei casi, del matrimonio restano effetti ineliminabili (la prole), restano decisioni da assumere in comune. Dall’entrata in vigore della legge sulla cessazione degli effetti civili ad oggi si è passati da un termine di cinque anni, poi di tre anni, ora di uno; il legislatore, sollecitato da dinamiche sociali celeri, non ha tenuto in debito conto l’istituto della riconciliazione tra i coniugi che fa venir meno gli effetti della separazione personale dei coniugi. Il ripensamento è elemento essenziale in ogni momento dell’agire umano. In merito alla seconda parte della domanda, mi permetto di dire che il personale in servizio effettivo della Magistratura sia sufficiente alla gestione del diritto delle persone. Eccezioni locali verificabili nei grandi Tribunali Metropolitani non possono divenire regola anche per i Tribunali delle realtà medio piccole. Necessario che in ogni Ufficio Giudiziario si dia il dovuto rilievo ai procedimenti aventi ad oggetto il diritto delle persone, nella più larga accezione del termine.
- Qual è il suo punto di vista da addetto ai lavori in merito all’evoluzione del divorzio negli ultimi anni? Cosa, secondo lei, si potrebbe migliorare?
Mentre la separazione aveva un retroterra sociale e giuridico di maggior durata, la cessazione degli effetti civili del matrimonio ha da poco compiuto il mezzo secolo di vita. E’ modesta, ma assai convinta opinione di chi scrive, che oggi si giunge al matrimonio con molta immaturità in relazione a dinamiche sociali più celeri, sicché la separazione, prodromica alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, viene vista come la panacea per tutte le difficoltà che si presentano in ogni rapporto di coniugio e ad essa si giunge con pari immaturità e mancata conoscenza dei propri diritti e doveri. Lo scrivente ritiene che prima della celebrazione del matrimonio, i soggetti si sottopongano a verifica delle proprie capacità affettive anche con l’ausilio di personale specializzato, nonché alla conoscenza approfondita dei diritti e dei doveri derivanti dal contraendo vincolo coniugale; atteso che ognuno possa avere una percezione di sé e dell’altro né distorta né deviante. In un percorso di evoluzione migliorativa non vi sono limiti. Il diritto di famiglia ha subito numerose modifiche dall’introduzione della legge sul divorzio (1970), alla riforma del diritto del regime patrimoniale della famiglia (1975), fino ad arrivare alla riforma “Cartabia”. Il legislatore, nella propria sensibilità, potrà sempre apportare innovazioni migliorative soprattutto a livello di rito. Due cose ritengo essenziali: l’integrazione obbligatoria e permanente, non rimessa alla richiesta di entrambe le parti, degli Organi Giudicanti (monocratiche collegiali) con personale tecnico, perché l’esperienza e la sensibilità di chi decide non può sostituire le conoscenze prettamente tecniche e scientifiche del soggetto specializzato; separare la decisione sullo “status personae” dei soggetti interessati dalle questioni patrimoniali non strettamente collegate al diritto della persona, questioni da decidersi nelle separate, competenti sedi ordinarie, così da assicurare la dovuta celerità del procedimento avolvendolo da condizionamenti e lungaggini connesse alle domande patrimoniali accessorie, l’audizione obbligatoria dei figli perché dalla propalazione di essi, osservatori acuti e attenti delle dinamiche familiari, possono emergere profili della crisi familiare che difficilmente emergono dal solo confronto giudiziario tra i coniugi. L’auspicio è che il legislatore che legifera in suddetta materia tenga presente la poliedricità e la delicatezza della stessa, onde apprestare al cittadino e all’interprete un apparato normativo, chiaro, snello e di agevole gestione.