“Guarda che ti do” e poco dopo con l’acido venne sfregiata al volto, alle mani e al petto. E’ stato questo il culmine delle violenze fisiche e morali che Filomena Lamberti, 65enne salernitana, ha dovuto subire da parte dell’ex marito. Dopo circa 30 anni di un matrimonio infelice, Filomena capì che non poteva accettare più quella situazione e chiese il divorzio: una decisione che l’uomo non digerì e nella notte del 28 maggio 2012 le gettò addosso una bottiglia di acido solforico.
La storia di Filomena Lamberti si intreccia con quelle di tante altre donne vittime di maltrattamenti da parte dei mariti. Lei ha trovato la forza di rinascere nonostante la sua identità sia stata violata per sempre e di portare la sua testimonianza in giro per l’Italia affinché coloro che stanno vivendo una situazione simile possano trovare la forza di denunciare e sottrarsi agli abusi.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Ondanews ha raggiunto telefonicamente Filomena Lamberti che ha gentilmente concesso l’intervista che segue raccontandoci la sua storia di coraggio e resilienza.
- Cosa ricorda di quel 28 maggio del 2012? Quali sono state le prime sensazioni che ha provato?
Erano le 4 del mattino e stavo dormendo quando lui venne vicino al letto con questa bottiglia di acido solforico, mi toccò sulla spalla e disse “Guarda che ti do”. Capii subito che si trattava di acido solforico perché lo usavo per sturare i tubi in pescheria. La prima cosa che pensai è stata: “Mi ha fatto l’ultima sua violenza”. Non immaginavo ancora a cosa sarei andata incontro.
- Come era all’inizio il rapporto con il suo ex marito?
Negli anni del fidanzamento lui già si dimostrava geloso però io a quell’età camminavo con le fette di prosciutto sugli occhi. Scambiavo la sua gelosia per amore. Acconsentivo a tutto ciò che lui mi proibiva di fare come ad esempio truccarmi, indossare la minigonna e frequentare amiche che a lui non piacevano.
- Con l’arrivo dei figli pensava che la situazione sarebbe cambiata?
All’età di 21 anni rimasi incinta del primo figlio e nutrivo la speranza di un cambiamento. Questo cambiamento non è mai avvenuto neanche con il secondo e terzo figlio. Man mano che si andava avanti negli anni lui è stato molto capace, come tutti gli uomini possessivi, a isolarmi da tutto e da tutti, anche dai parenti più stretti.
- La famiglia le è stata vicino? Era a conoscenza delle violenze?
L’unica persona che mi poteva salvare da lui era mio padre. Una volta lo minacciò con la pistola che aveva dietro quando faceva il guardiano di notte al Porto. Purtroppo mio padre è morto da giovane: aveva 64 anni e io 30 anni. Mia madre l’anno successivo si risposò. Lei non l’ha mai visto di buon occhio e l’unica volta che le chiesi aiuto mi rispose: “Tu l’hai voluto e tu te la devi vedere”. Io chiamavo mia madre “carabiniere di casa” e da donna orgogliosa con la mia dignità non le ho chiesto mai più aiuto. Se mio padre non fosse morto forse non sarei qui a raccontare la mia storia.
- Cosa è scattato in lei per farla ribellare e decidere di lasciarlo?
Ho sopportato 30 anni di violenza solo per poter far crescere i miei figli perché non avevo una mia indipendenza economica e non sapevo come crescerli. C’era la paura di denunciare e degli assistenti sociali, pensavo che con un padre violento mi avrebbero tolto i bambini. Mi ponevo tante domande a cui non trovavo le risposte. I miei figli hanno vissuto la violenza assistita, mi picchiava davanti a loro anche quando erano piccoli. I malesseri se li sono portati dietro e nel 2011 il mio primo figlio allora 30enne ci chiese di prendere una decisione perché erano stanchi di assistere a queste guerriglie. Furono proprio quelle parole a farmi mettere un punto dove per anni avevo sempre messo la virgola e gli comunicai la mia intenzione di separarmi.
- Dove ha trovato la forza di andare avanti, superare i tanti interventi e ricominciare una nuova vita?
Il mio calvario ospedaliero è durato 5 anni ed ho subito 30 interventi. Se fortunatamente non faccio parte del lungo elenco di donne ammazzate è stata una fortuna, non sono morta e non ho lasciato i miei figli soli. Ho avuto la forza di essere finalmente una donna libera anche con la mia identità violata. Oggi vivo mentre per 30 anni ho sopravvissuto. In questa mia nuova vita mi godo la libertà che ho riacquistato e conquistato. Non mi sono mai preoccupata dei pregiudizi delle persone e subito sono uscita in strada. Non mi importano gli sguardi delle persone e se non fosse stato così avrei fatto il suo gioco che era quello di rinchiudermi nelle quattro mura di casa.
- Secondo lei le donne sono tutelate dalle leggi o bisogna fare qualcosa in più? Se sì, cosa?
Oggi fortunatamente le leggi sono cambiate a tutela della donna mentre nel 2012 non c’era il codice rosso. Il mio processo poteva andare diversamente, è stato scandalosissimo. Un processo per direttissima dove non sono stata né vista né ascoltata, chiuso con un patteggiamento e il mio ex se l’è cavata con 18 mesi di reclusione di cui ne ha scontati solo 15. Questa è una violenza che mi è stata fatta dalla burocrazia italiana. Nonostante tutto, alle donne dico di denunciare perché oggi c’è il codice rosso e gli interventi sono tempestivi. Dopo di me ci sono stati altri casi che si sono conclusi con pene più severe anche perché c’è stato un forte impatto mediatico. Con me questo impatto mediatico non c’è stato. O 18 anni o 18 mesi io resto sempre quella che sono oggi ma non per questo la giustizia deve sbagliare. Nonostante tutto dobbiamo credere nella giustizia altrimenti è la fine perché la violenza porta altra violenza.
- Cosa si sente di dire alle donne che come lei subiscono violenza domestica?
E’ dal 2014 che vado in giro per l’Italia e precisamente da quando sono approdata a Spaziodonna Linearosa, donne e amiche che mi hanno aiutato tanto. Pur vivendo a Salerno non conoscevo l’associazione ed appena ne venni a conoscenza chiamai e dissi di voler testimoniare a favore di altre donne affinché non commettano i miei stessi errori: non aver mai denunciato e non essermi rivolta al centro antiviolenza. Oggi di centri antiviolenza ce ne sono a migliaia ed è facile trovarlo. Quando una donna si rivolge a loro, la portano per mano a sporgere la denuncia e l’assistono a livello psicologico. Le donne devono scappare dagli uomini violenti specialmente se ci sono minori per non far assistere loro ai maltrattamenti. Siamo noi a mettere i figli al mondo e non sono loro a scegliere la famiglia in cui crescere ed è un nostro dovere educarli bene ed insegnare loro i valori. Scappate e denunciate.