Anche Eni e altre 9 società tra i 70 indagati a cui la Squadra Mobile di Potenza e i Carabinieri del Noe hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari relative ad alcune parti dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata.
Sarebbe dunque fondata l’accusa contro Eni di aver smaltito illecitamente nel Centro Oli di Viggiano i rifiuti prodotti dall’estrazione petrolifera. Questa la motivazione in base alla quale il Tribunale del Riesame di Potenza ha confermato, il 16 aprile scorso, il sequestro di due vasche e del pozzo di reiniezione Costa Molina 2.
Secondo la perizia presentata dai pm, che il Riesame ha definito “di chiarezza adamantina“, l’Eni reiniettava nel sottosuolo non solo l’acqua venuta in superficie con il petrolio estratto ma anche “altri reflui provenienti da distinti processi di produzione effettuati all’interno del centro oli“.
“Allo stato e in assenza di correttivi – recitano le motivazioni – tali reflui non potevano avere il codice attribuito ad essi dall’Eni e non potevano quindi essere smaltiti come avveniva in Val d’Agri“.
Sempre secondo il Riesame, sui reflui furono effettuati “controlli approssimativi e carenti” da parte dell’Arpab che evidenziano una “totale sudditanza nei confronti di Eni” da parte dei laboratori che analizzavano le acque.
Il Tribunale ha inoltre definito “imbarazzanti” alcune intercettazioni degli indagati, spiegando che queste confermano il quadro accusatorio. “Peraltro – è scritto nelle motivazioni – la difesa non ha contestato i contenuti delle intercettazioni stesse né ha offerto di esse una qualunque interpretazione alternativa“.
La multinazionale dal canto suo ribadisce la correttezza del proprio operato e conferma che “il Centro Olio Val d’Agri rispetta le best practice internazionali“.
– redazione –
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