La Corte di Cassazione ha confermato nei giorni scorsi la condanna a carico di due uomini rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania per rispondere, in concorso con un’altra persona, di avere promosso, costituito e organizzato un’associazione per la commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio (in particolare furti di materiale ferroso presso scali ferroviari) e di trarne profitto con la successiva vendita ad una società esercente attività di recupero di rottami ferrosi. Si sono impossessati di materiale ferroso per un peso complessivo di circa 35 tonnellate e un valore di circa 17.500 euro, prelevandolo presso lo scalo ferroviario di Vallo della Lucania. Gli imputati, inoltre, nel 2010 a Vallo della Lucania si impossessarono di circa 260 gabbioni metallici per il contenimento di argini, del peso complessivo di circa 57 quintali, prelevandoli in un’area aperta di pertinenza dello scalo ferroviario di San Mauro La Bruca, in cui si trovavano accantonati e rubarono materiale ferroso (chiavardini, piastrini, picchetti e pezzi di rotaia), per un peso complessivo di circa 52 tonnellate, tagliando le rotaie dello scalo ferroviario di Auletta dopo aver forzato la sbarra di chiusura del varco di accesso e tagliato la catena di sicurezza.
Il Tribunale di Vallo della Lucania nel 2018 li ha condannati alla pena di 6 anni di reclusione e 1.500 euro di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali. Gli imputati furono dichiarati interdetti dai pubblici uffici per 5 anni e in solido fra loro al risarcimento dei danni subiti da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. costituita parte civile. La Corte di Appello di Salerno nel 2020, aderendo al concordato in appello proposto dai difensori muniti di procura speciale cui aveva prestato il proprio consenso il Procuratore Generale, in riforma della sentenza di primo grado appellata dagli imputati, li ha assolti dal reato di cui all’art. 416 c.p. perché il fatto non sussiste e ha rideterminato la pena per i restanti titoli di reato in 4 anni di reclusione e 800 euro di multa ciascuno, con l’ulteriore condanna al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile costituita in appello.
Hanno dunque proposto ricorso per Cassazione affermando che non vi sarebbe prova che abbiano ricavato un profitto dal reato, che uno di loro non è stato trovato in possesso di componenti metalliche sospette né nel luogo dove presumibilmente si trovavano né in prossimità o altrove, inoltre tra i motivi di ricorso si eccepisce l’intervenuta maturazione del termine massimo di prescrizione e si lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della dosimetria della pena.
La Cassazione ha ritenuto i ricorsi inammissibili, confermando dunque la sentenza d’appello.