Il rincaro dei prezzi dei combustibili ma anche quello delle materie prime minaccia la sopravvivenza di diversi settori e tra questi anche quello lattiero caseario.
Una situazione molto grave che mette a rischio anche le produzioni di qualità, ovvero quei prodotti tipici del territorio: è il caso del Caseificio Campolongo di Arenabianca di Montesano sulla Marcellana che è impegnato da sempre nel garantire alimenti sani e genuini. Una sicurezza alimentare che oggi rischia di venire meno a causa dell’impennata generale dei prezzi, soprattutto delle materie prime.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Catiello Gallo, titolare del Caseificio Campolongo.
- Rincari e aumento dei prezzi. Come state vivendo questi difficili momenti?
“Stiamo vivendo quasi malissimo perché sono uno di quelli che vorrebbe stare vicino a tutti e collaborare, però, purtroppo, non ce la possiamo fare. Da molti anni non chiedevamo un aumento ma siamo stati costretti a farlo perché i costi sono lievitati e non ce la facevamo più. Devo dire, a tal proposito, che quando la grossa distribuzione si professa vicina al consumatore non è proprio così. Abbiamo fatto un aumento dal 1° gennaio, risicato, ci eravamo lasciati 1 centesimo al kg per noi, la grossa distribuzione non ha accettato ancora, altri hanno accettato metà dal 1° febbraio e metà dal 1° aprile. Andando a vedere sui loro scaffali, però, i prodotti sono stati aumentati del 30% e professano che sono vicini al consumatore. Non è così: fare un aumento simile sul 6% che avevamo fatto noi è una cosa vergognosa. Oggi confesso che stiamo lavorando a perdere: costi del gasolio, costi dell’energia elettrica che è passata da 15mila euro mensili a 20/21mila euro. Stiamo cercando di fare qualche investimento sull’energia solare e cercare di ridurre i costi ma a queste condizioni non ce la facciamo. Mi lamento anche del governo, le imprese sono sempre più penalizzate da questa burocrazia, non troviamo personale. Fino a qualche anno fa facevano la fila per un lavoro invece adesso per sostituire un dipendente ne abbiamo provati otto. Complice, inutile negarlo, anche la possibilità ‘facile’ del Reddito di Cittadinanza”.
- Qual è la preoccupazione maggiore?
“Mi preoccupano tante cose. Il Covid ci preoccupava ma la guerra molto di più. E’ difficile la situazione, le persone comprano qualcosa dopo aver ricevuto lo stipendio ma poi le vendite calano. Siccome facciamo anche la tentata vendita, e abbiamo sette furgoni che girano, i costi maggiori sono proprio qui. I consumi sono ridotti, lavoriamo dunque a perdere. Si vive alla giornata e questo non ci permette di fare più progettazione a lungo termine. Lavorare con una produzione del 35/40% in meno è difficile. Le difficoltà arrivano in primis per gli agricoltori e gli allevatori che sono alle strette. Qualcuno ha già chiuso, non possono acquistare materie prime a costi alti. Faccio l’esempio del mais, del grano: abbiamo tanti campi incolti, perché la politica non ha pensato di dare un piccolo contributo sulle produzioni agricole per non dipendere dalla Russia? Non abbiamo materie prime ma costi alle stelle”.
- La sua attività è nota per la produzione di alimenti sani e genuini. Teme che questa situazione possa andare a ripercuotersi, prima o poi, anche sulla qualità dei beni?
“Non dovrei dirlo io, ma confermo che sono uno di quelli che lavora con materie prime sane che però verranno a mancare. Molti per abbassare i prezzi stanno accettando diverse cose, nessuno controlla niente, nemmeno le pubblicità ingannevoli che portano ad acquistare prodotti di dubbia qualità. Un circolo vizioso, purtroppo, che penalizza chi lavora seriamente come noi”.
- Come vede il futuro?
“Vedo buio. Per me è stata una soddisfazione quando i miei 3 figli hanno accettato di venire in azienda, quel posto che ho costruito mattone dopo mattone. Ma oggi dico ‘poveri figli’ se l’andazzo che si prospetta è quello che abbiamo tutti dinanzi ai nostri occhi”.