Kevin è un dolcissimo bambino nato il 5 dicembre 2017, a Torino, con una grave malformazione alla gamba destra accompagnata da un piedino gravemente torto. La rarissima patologia di cui è affetto si chiama Emimelia tibiale: non ha la tibia e la rotula e la gamba è più corta dell’altra oltre che piegata verso l’interno. Inoltre il femore è bifido, cioè c’è una biforcazione in punta provocando una situazione ancora più complessa.
L’unica soluzione all’amputazione della gambina è una struttura che si trova negli Stati Uniti, in Florida, al Paley Orthopedic & Spine Institute in cui il piccolo dovrebbe essere sottoposto a due interventi da eseguire nell’arco di sei mesi, durante i quali dovrà portare un fissatore esterno alla gamba. In seguito a queste operazioni, Kevin finalmente dovrebbe camminare. Tutto questo, però, costa 500.000 euro.
La mamma da circa un anno ha avuto la grande forza di riuscire a raccogliere quasi tutta la cifra, mancano infatti 20.000 euro ma il tempo a disposizione per questa raccolta sta per finire perchè la data di partenza è il 6 marzo. La visita preoperatoria con il dottor Paley è fissata per l’8 marzo e la data dell’intervento è stata anticipata al 10 marzo anzichè il 22 marzo.
Matteo Viviani, amato da tutti anche grazie al programma Le Iene per la sua straordinaria sensibilità, sta seguendo la storia del piccolo Kevin fin dall’inizio della raccolta fondi e, attraverso un video postato sui suoi canali social, incentiva le persone ad effettuare quante più donazioni possibili per raggiungere la cifra finale.
Anche la nostra redazione è rimasta colpita dalla storia di questo bellissimo bambino e pertanto abbiamo deciso, per quanto possibile, di sostenere questa iniziativa. Abbiamo sentito Matteo Viviani che ci ha gentilmente concesso questa intervista testimoniando una generosità genuina, che nasce dal cuore e che va ben oltre il personaggio televisivo.
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- Matteo, non è la prima volta che “metti la faccia” nelle iniziative benefiche, basti pensare alla storia di Alice con il suo esoscheletro oppure all’”impresa impossibile” di Marika in moto. Cosa ti ha colpito della storia di Kevin?
Tutto ciò che faccio attraverso il canale più potente a disposizione che è Le Iene, il programma per cui lavoro, oppure quando faccio un po’ le stesse cose utilizzando solo i miei social, ha alla base un concetto molto semplice: avere l’umiltà di essere consapevoli della fortuna che si ha di avere a disposizione un canale che ti permette di arrivare a tante persone. Sono arrivato dunque a comprendere che oltre a postare la fotina in cui sei tutto felice con la famiglia o il tramonto fantastico a cui ho la fortuna di assistere ci si può spingere un attimino più in là e utilizzare quel canale per cercare di stimolare in un certo qual modo il cuore delle persone a far qualcosa di utile.
Tutti vorremmo risolvere una situazione con un sol gesto cioè immagino che sono rarissime le persone che hanno a disposizione una situazione finanziaria che permette loro di leggere una storia come questa di Kevin e dire “Bene, quanto manca per riuscire a far operare questo bambino al piedino? 20.000 euro, ok metto 20.000”. E’ un’utopia per la stragrande maggioranza di noi, questo è chiaro, però avere a disposizione un canale che permette di rivolgerti a decine di migliaia di persone ti dà modo di far passare un concetto molto semplice, per quanto banale e cioè un poco da parte di tutti ti permette di arrivare a tanto, anzi tantissimo. E’ un po’ il messaggio che ho cercato di far passare con il video che ho dedicato alla causa di Kevin: basta 1 euro da parte di 20.000 persone e si raggiungono i 20.000 euro che mancano per permettere a questa mamma di portare il bambino in America per fare l’operazione.
- La piattaforma utilizzata per la raccolta fondi è GoFundMe, la più utilizzata nel mondo. Per chi non la conosce, puoi spiegare perché è sicura? I soldi raccolti andranno sicuro alla mamma del piccolo Kevin?
Bisogna sempre fare molta attenzione perché molte volte anche le storie umane vengono usate come specchietto per le allodole, basta farci un giro in rete per vedere purtroppo quante storie di bambini o di persone in condizioni gravi vengono utilizzate per poi dire “Bene questo è l’iban, mandate i soldi e salvate la vita a questa bambina o bambino”. GoFundMe è una delle poche piattaforme certificate che ci permette di avere la sicurezza che quella cifra realmente arrivi a chi ne ha bisogno perché la persona interessata semplicemente apre una sorta di annuncio, chiamiamolo così, mettendo il proprio iban di riferimento. La sicurezza, sostanzialmente, sta in questo. Chi utilizza questa piattaforma sa che se si vuol fare una donazione si passa attraverso un campo in cui il sistema ti chiede se vuoi dare una percentuale di quello che doni a GoFundMe per permettergli di continuare a stare in piedi e di creare canali di questo tipo. Puoi scegliere il 5%, 10%, 15% etc e se non lo vuoi fare non lo fai. E’ una scelta libera di cui l’utente può disporre.
- Continuerai a seguire la storia di Kevin aggiornandoci sull’esito della raccolta fondi e poi dell’operazione?
Certo. Il caso di Kevin lo sto seguendo da almeno un anno, sono in contatto con la mamma, ci siamo scritti, ci siamo parlati, ci siamo mandati messaggi e man mano ho seguito l’evolversi della questione. Siamo arrivati a un punto in cui il tempo ha cominciato a scarseggiare perché ormai mancano davvero pochissimi giorni e proprio a un passo dalla fine, quando ha raccolto un sacco di soldi e non riuscire a farcela per 20.000 euro (per quanto siano tantissimi ma pochi a confronto della cifra totale e cioè mezzo milione), è davvero un peccato, per questo ho deciso di dargli questo ulteriore aiuto.
Se posso approfittare di questa intervista, vorrei esprimere un concetto abbastanza semplice. Può sembrare polemico ma nella realtà è a fin di bene: molto spesso si sente ricorrere la frase “La beneficenza si fa in silenzio”, spesso l’ho sentita, spesso me la sono sentita dire e spesso l’ho dovuta leggere nei messaggi che ho ricevuto. E’ un po’una visione distorta della realtà, sembra quasi da estremista cattolico cioè “Non dire che fai del bene perché se lo dici vuol dire che te ne stai vantando e stai strumentalizzando quell’azione per portare beneficio a te stesso”. Io dico vi prego, leviamoci dalla testa queste turbe psichiche perché sostengo che quando si fa del bene ognuno di noi può amplificare il risultato di quel gesto rendendolo pubblico nel proprio circolo di amicizie che siano reali o social. Vorrei spingere tutti coloro che leggono questa intervista a postare nei propri social o dove si vuole ciò che si è appena fatto, scrivere che si è venuti a conoscenza di questa situazione e si è deciso di donare, magari senza specificare quanto, stimolando tutti gli altri a fare la stessa cosa perchè è l’unione che fa la forza e quindi si interrompe la catena del detto “La beneficenza si fa in silenzio” .