Tre anni di reclusione, revoca della patente di guida, confisca dell’autoveicolo e interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. E’ la sentenza emessa lo scorso 24 novembre dal giudice del Tribunale di Trani nel corso del processo con rito abbreviato a carico di Pantaleo D’Addato, accusato dell’omicidio colposo aggravato della giovane Maria Dorotea Di Sia, morta in seguito allo scontro dell’Audi A6 condotta dall’imputato contro il pilastro di una villa in costruzione a Bisceglie nella notte del 13 maggio del 2014.
Lo scorso 9 dicembre sono state depositate le motivazioni della sentenza che, ripercorrendo il fatto fin dalla notizia dell’incidente, danno una chiara risposta alla decisione della pena inflitta a D’Addato, risultato positivo, dopo l’impatto, a cannabis e cocaina e il cui tasso alcolemico rilevato era pari a 2,45 grammi per litro. Proprio in merito ai prelievi ematici la difesa aveva sostenuto che questi fossero stati effettuati con atto invasivo, senza l’assistenza di un difensore. Ma il giudice ha ritenuto tale tesi infondata, dato che “il prelievo di sangue è stato effettuato per motivi terapeutici e solo successivamente, alla richiesta della polizia giudiziaria, i campioni già acquisiti per motivi terapeutici sono stati utilizzati anche per finalità di giustizia“. Nelle motivazioni, ad avvalorare il dato relativo all’alta velocità sostenuta dall’Audi di D’Addato, il richiamo alle testimonianze rese dai presenti, ai filmati delle telecamere di videosorveglianza di un immobile (sebbene queste siano in seguito andate accidentalmente cancellate) e i reperti fotografici raffiguranti i danni riportati dalla vettura e dal pilastro contro il quale andò a sbattere.
D’Addato, per il giudice, non è apparso meritevole delle attenuanti generiche, benchè incensurato. Per cui, partendo da una pena base di 4 anni di reclusione per omicidio colposo per guida in stato di ebbrezza e sotto effetto di sostanze stupefacenti, aumentata a 4 anni e 6 mesi per le contravvenzioni al Codice della Strada, e operata la riduzione per la scelta del rito abbreviato, si è pervenuti alla pena finale dei 3 anni di reclusione, più la condanna al pagamento delle spese processuali, la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente e della confisca dell’auto.
Dopo il deposito delle motivazioni torna a far sentire la propria voce anche Donato Di Sia, padre di Maria Dorotea, che da mesi si batte per una pena giusta che riscatti in qualche modo la tragica scomparsa della figlia. “Dal dispositivo sappiamo che sono state accettate le nostre tesi – ci dice – anche se resta una grossa negligenza nella conduzione delle indagini e se nonostante tutto sia stato comminato il minimo della pena. Inoltre non sono mai stati accertati i precedenti dell’imputato, inerenti allo stesso tipo di reato“.
“Io mi chiedo – continua Di Sia – che differenza c’è tra un terrorista che si fa esplodere con una bomba e una persona drogata e ubriaca che si mette alla guida? Non hanno tutti e due la possibilità di fare una strage? Il mio appello, quindi, si rivolge alle istituzioni, al Presidente della Repubblica, a quello del Consiglio e al Ministro della Giustizia, affinchè spieghino alla magistratura che questo reato non è tanto differente da quello commesso dal terrorista e ha bisogno di una pena esemplare“.
– Chiara Di Miele –
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