E’ uscito da poche ore “Orgoglio e Vitalizio“, il libro-inchiesta di tre giornalisti de “Il Fatto Quotidiano“, Primo Di Nicola, Antonio Pitoni e Giorgio Velardi, sui vitalizi di parlamentari e politici, nota dolente di un’Italia che, sempre più spesso, non tollera di dover “mantenere” una classe non più al servizio della comunità ma con pensioni dorate e consistenti da percepire ogni mese.
“Non solo politici. Li abbiamo stanati tutti e ora vi sveliamo quanto percepiscono ogni mese: una inarrestabile emorragia della spesa pubblica – dicono gli autori – C’è chi a Montecitorio è stato una sola settimana e oggi intasca oltre 2300 euro di pensione al mese. C’è chi, cumulando più assegni, arriva a novemila euro ogni 30 giorni ad appena cinquant’anni di età. C’è chi, benché miliardario e, durante il mandato, spesso assente in aula, ora non vuole rinunciare a ‘un diritto acquisito“.
Ma sotto i riflettori dell’inchiesta finita in libreria ci sono anche casi che gli italiani hanno saputo apprezzare, come quello che riguarda Pino Palmieri, sindaco di Roscigno ed ex consigliere alla Regione Lazio che al vitalizio ha invece rinunciato. Un capitolo dal titolo “Caro figlio mio” interamente dedicato a Palmieri e alla sua rinuncia dopo la gestione della Regione da parte dell’allora governatore Renata Polverini.
“Orgoglio e Vitalizio” racconta tutto il percorso di Palmieri da consigliere regionale negli anni in cui il Lazio fu macchiato dagli scandali legati a Franco Fiorito e Vincenzo Maruccio. “Soldi come se piovesse utilizzati per gli scopi più disparati” si legge nel libro. E Palmieri, che faceva parte del Comitato di controllo contabile, rilevò evidenti problemi relativi alla gestione e si dimise dall’incarico nel 2012, decidendo di rinunciare al vitalizio al termine della legislatura.
Nel capitolo su Palmieri i giornalisti de “Il Fatto” pongono l’accento anche su quella che definiscono una vicenda che assume i contorni della “spy story“, e cioè la denuncia alla Procura della Repubblica da parte dell’opposizione consiliare roscignola perchè “il primo cittadino avrebbe detto no all’assegno solo dopo il varo della già citata legge del 2014“. Quella, cioè, che innalzò a 65 anni l’età minima per percepire l’assegno del vitalizio e contro cui circa 80 ex consiglieri regionali fecero ricorso.
– Chiara Di Miele –