La consigliera di Parità della Regione Campania, Domenica Marianna Lomazzo, sollecita le Autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali all’adozione puntuale di quanto previsto nel PNRR – PNC ed in particolare dall’art. 47 circa la previsione nei bandi di gara, di criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l‘assunzione di giovani con età inferiore a 36 anni e donne. L’invito è dunque quello di concretizzare quanto contenuto nel “Gender Responsive Public Procurement”, già recepito nel PNRR, il nuovo sistema introdotto a livello europeo per realizzare la parità di genere come leva dello sviluppo economico sostenibile, anche tramite una nuova responsabilità sociale da parte delle imprese e del mondo del lavoro. Lo strumento prevede la possibilità di assicurare l’individuazione di adeguati indicatori di premialità nelle procedure di gara per appalti pubblici alle imprese che adottino l’uguaglianza di genere nelle retribuzioni, nelle carriere, nel management e ciò anche in linea con la sopravvenuta legge nazionale sulla parità salariale.
Tale legge, come è noto, prevede che a partire dall’1 gennaio 2022, le aziende private siano in possesso della Certificazione della parità di genere, riconoscendo loro un punteggio premiale per la valutazione da parte delle Autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, delle proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.
In particolare, le azioni da porre in essere, compatibilmente con il diritto dell’Unione Europea e con i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di trasparenza e proporzionalità, potrebbero essere articolate sia nei criteri di aggiudicazione che nei criteri aggiuntivi ad integrazione ed in armonia con quanto previsto nelle normative su richiamate e vigenti in materia:
- l’assenza, negli ultimi tre anni, di verbali di conciliazione extragiudiziale per discriminazione di genere, di cui al D. Lgs. n. 198/2006 nonché l’assenza, negli ultimi tre anni, di una sentenza passata in giudicato di condanna al reintegro nel posto di lavoro della lavoratrice licenziata in violazione del divieto di licenziamento stabilito dall’art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001, ovvero per altra condotta discriminatoria sul posto di lavoro;
- l’adozione (ex art. 2087 Codice Civile -art. 3 ter D.Lgs.198/06) da parte delle imprese di strumenti di contrasto alle violenze, alle molestie, anche sessuali, sui luoghi di lavoro, di cui all’art. 26 del d.lgs.198/06 vigente;
- la presenza di politiche aziendali che favoriscono la conciliazione vita-lavoro (es. la flessibilità oraria, il ricorso allo “ smart-working” che nel periodo di vigenza delle misure di contenimento del Covid-19 si è rivelato strumento efficace per arginare il ricorso alle dimissioni di lavoratrici madri art. 55, comma 4, D. Lgs. n. 151/2001); la presenza di asili nido aziendali; la possibilità di svolgere la propria attività in coworking;
- l’impegno ad assumere, oltre la soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, donne in età lavorativa per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali.
- imprese che dimostrino di aver condotto periodicamente (con cadenza almeno annuale), al di là dell’obbligo normativo in materia, un’analisi, in ottica di genere, della popolazione aziendale e dei relativi fabbisogni, in termini di conciliazione vita-lavoro o che abbiano condotto indagini, studi e attività di monitoraggio o specifiche azioni positive finalizzate alla rimozione delle discriminazioni dirette e indirette;
- imprese che abbiano introdotto misure family friendly, quali i congedi obbligatori per i padri, il bonus gravidanza, l’estensione della durata del congedo obbligatorio, nell’ottica di favorire la redistribuzione del carico di cura familiare tra uomini e donne, come misure finalizzate a migliorare il benessere organizzativo non penalizzante per le donne all’interno dell’azienda, a scardinare gli stereotipi di genere ed a sviluppare una cultura organizzativa di qualità tesa a promuovere il rispetto della dignità delle persone.
“La partecipazione delle donne al lavoro tra 15 e 64 anni – ha dichiarato Lomazzo – nel Mezzogiorno d’Italia è di appena il 32,5% e si è attestata in tre regioni italiane sotto il 30% con la Campania in calo al 28,7%. L’Italia è il Paese dell’UE con il più alto tasso di ragazzi tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione e la zona che risente maggiormente di tale problematica è il Mezzogiorno che, con tutte le sue principali regioni, si attesta al 32,6% rispetto al 19,9% del Centro Italia e al 16,8% del Nord”.
“Dal Report dell’INL – continua – emerge che le dimissioni/risoluzioni consensuali adottate su tutto il territorio nazionale nel 2020 sono state 42.377, in diminuzione rispetto alle 51.558 del 2019 (-17,8%). In ottica di genere, delle 42.377 convalide totali, il 77,4% si riferisce alle donne e attesta una maggiore esposizione delle lavoratrici madri al recesso dal mercato del lavoro in presenza di figli sino ai 3 anni. L’età del figlio, che più incide in questo fenomeno, è quella fino ad 1 anno. La maggior parte dei provvedimenti di convalida riguarda lavoratrici con qualifica di impiegata e di operaia. L’ambito produttivo in cui le convalide sono maggiormente concentrate permane il terziario, settore con significativa presenza femminile. Sul totale delle convalide, la motivazione più frequente continua ad essere la difficoltà di conciliazione dell’occupazione lavorativa con le esigenze di cura dei figli. In Campania, le convalide delle dimissioni/risoluzioni consensuali sono state 2.244, inferiori del 19,5% rispetto all’anno precedente, di cui 127 si riferiscono ai lavoratori padri. In Campania, quindi, 2.117 madri si sono dimesse dal lavoro per motivi legati alla conciliazione lavoro/cura dei figli. Emerge, inoltre, da un’indagine svolta dalla Direzione Generale del Ministero del Lavoro, che nella nostra regione solamente in 477 si sono ricollocati/e a seguito delle dimissioni mentre, per fare un confronto, in Lombardia sono state 4.621”.
“Con la consapevolezza dell’occasione storica offertaci per promuovere giustamente le donne italiane e, quindi, campane nel mondo del lavoro e per contribuire a costruire una società più giusta e con pari diritti di cittadinanza per tutti e per tutte – conclude – richiamo con forza l’attenzione sul rispetto di quanto previsto normativamente e raccomandato sia dall’UE, sia dal Governo”.