Lettera aperta alla redazione di Franco Iorio
All’indomani dell’ennesima bocciatura del 25 giugno, dopo la Caporetto delle politiche del 4 marzo, il Partito Democratico esce ridimensionato anche in quelle città che furono le roccheforti della rossa Toscana. Un risultato agghiacciante: gli sono rimasti appena 26 Comuni, quando ne governava 59. Parliamone. Non per recitare il suo de profundis e men che meno per tesserne le lodi che forse non ha. Solamente perché la politica è e deve rimanere pur sempre cultura. Anzi, Norberto Bobbio chiariva che “non c’è politica senza cultura”. Dunque, le sconfitte sono sempre il risultato di tanti e diversi fattori, ovviamente negativi, il primo dei quali è la percezione del partito.
Il Pd viene visto come una “organizzazione” chiusa di persone manovrate, direi un “giocattolo” utilizzato per fini diretti a proteggere amici e amici degli amici e magari a ricavarne una utilità qualsiasi. Tanti gli esempi di riferimento. Ma ancor prima emerge il danno di immagine secondo cui la “sinistra” è guardata come il partito delle tasse, come intermediario delle banche d’affari, come rappresentante di oligarchie facoltose, come interlocutore dei cosiddetti “poteri forti” che poi nessuno spiega chi siano. Ma sotto il profilo ideologico appare un partito che precipita perché non riesce a capire più chi sia, non sa più riconoscersi, vecchio e autoreferenziale insieme. Pare un partito cui manca lo spazio nel quale stemperare la propria nevrosi, che si consuma in scissioni continue e spaccature pretestuose sulla sua sinistra, mentre è impegnato a rincorrere i voti del centro che va sempre più verso destra. È così che perde, ovvero ha perduto le radici allontanandosi giorno dopo giorno non solo dai principi e dai valori di riferimento ma anche dagli abituali interlocutori, quali il ceto operaio, i sindacati, la classe impiegatizia, il mondo della scuola, gli stessi movimenti culturali e le associazioni del volontariato. Tanto per dire, le città perdute come Siena, Terni, Imola, Massa, Pisa erano quelle del “buon governo e della sana amministrazione”, ma gli elettori hanno voluto il “cambiamento”. Dunque il voto non è stato condizionato da buche e da strade dissestate, nemmeno da servizi precari o da mezzi pubblici inefficienti, ancor meno da tasse o imposte alle stelle o conti pubblici dissestati. No, niente di tutto questo. Perché alla base c’è stata la violenza del pensiero che solamente un “passaggio d’epoca” può giustificare. E anche spiegare. Non una mancanza di persone all’altezza del compito, non una carenza di comunicazione e informazione, quanto piuttosto la conclusione di un ciclo venuto da lontano. C’è da chiedersi dov’erano le intelligenze, cosa facevano le intellettualità quando si profilavano all’orizzonte i nazionalismi viscerali, i populismi incombenti della protesta purchessia, le destre xenofobe e fascistoidi. Che idee seguivano i filosofi del pensiero politico quando declinavano le ideologie per fare posto alla rabbia, alle frustrazioni, alla disperazione dell’individuo che si faceva gruppo e che si trasformava in massa e parlava il linguaggio della paura. Ecco le belle domande che un partito deve porsi prima di ragionare su chi sarà il nuovo segretario, che magari rottamerà quello vecchio in attesa di essere a sua volta rottamato. Ora mi sento di dire che fin quando c’è una “destra” inevitabilmente ci sarà una “sinistra”. Occorre trovare un modello popolare nel quale inserire la gente comune che vuole essere parte integrante del proprio destino, ecco cosa deve fare la “sinistra” per ritrovare le proprie bandiere. La democrazia rappresentativa è superata, oggi bisogna condividere il potere e il servizio. Eppure c’è un preconcetto che va risolto una volta per tutte: chi e per quanto tempo ha governato nel nostro Paese. Ebbene, la verità è che la sinistra (Pci, Pds, Ds, Pd) è stata al governo per soli sedici anni dal 1944 al 2018. Magari chiamata sempre per rattoppare danni alle finanze dello Stato da altri provocati. Verosimilmente da quelli che sono stati al potere per i rimanenti sessanta anni. Che piaccia o no, questa è la storia osservata con disincanto. E solamente per gli scettici ecco i periodi dei sedici anni:
Governo De Gasperi I, in carica dal 10 dicembre 1945 al 13 luglio 1946;
Governo De Gasperi II, in carica dal 13 luglio 1946 al 2 febbraio 1947;
Governo Amato I, dal 28 giugno 1992 al 22 aprile 1993;
Governo Ciampi dal 29 aprile 1993 all’11 maggio 1994;
Governo D’Alema I, dal 21 ottobre 1998 al 22 dicembre 1999;
Governo D’Alema II dal 22 dicembre 1999 al 25 aprile 2000;
Governo Amato dal 25 aprile 2000 al 10 giugno 2001;
Governo Prodi I dal 17 maggio 1996 al 21 ottobre 1998;
Governo Prodi II dal 17 maggio 2006 al 7 maggio 2008;
Governo Monti dal 16 novembre 2011 fino al 28 aprile 2013;
Governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014;
Governo Renzi 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016;
Governo Gentiloni 12 dicembre 2016 al 1º giugno 2018.
– Franco Iorio –