“C’è una responsabilità malavitosa, delinquenziale, camorristica e una responsabilità politica e questo è documentata dal fatto che sia in vita che dopo la morte prima hanno ostacolato Angelo e poi hanno ostacolato il percorso della Fondazione che non era un percorso strano bensì volto a cercare la verità su chi avesse ucciso il sindaco e dunque su chi avesse ucciso lo Stato. La relazione redatta dalla Commissione Antimafia è molto chiara perché afferma quello che noi denunciamo da anni: ‘Angelo Vassallo aveva scoperto e contrastato il traffico di droga nel porto di Acciaroli che era utilizzato come approdo della droga da smerciare nel territorio del Cilento e oltre’. Inoltre ‘solo grazie ad una parte delle istituzioni che ha continuato ad indagare, anche laddove sembrava insperabile, si può arrivare alla scoperta della verità. E, determinante è stata l’incessante opera di una parte della famiglia che cerca in tutti i modi di mantenere desta l’attenzione sull’opera, sulla storia personale e sulla morte di Angelo Vassallo”, queste le parole di Dario Vassallo e di Massimo Vassallo fratelli di Angelo Vassallo, rispettivamente Presidente e Vicepresidente della Fondazione intitolata al Sindaco Pescatore, nel commentare ancora la chiusura dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, in particolare relativamente all’omicidio del sindaco avvenuto a Pollica il 5 settembre del 2010.
“Insieme a migliaia di persone che hanno aderito alla Fondazione Angelo Vassallo, abbiamo sempre cercato la verità, ma quella vera, perché sappiamo bene come vanno le cose in questo Paese e in questi 12 anni siamo stati sempre vigili e attenti su quello che accadeva, perché per cercare la verità sull’uccisione di Angelo, bisogna uscire dal Cilento e andare oltre – continuano – Noi l’abbiamo fatto, mentre altri dicevano ‘ma chi ve lo fa fare, è successo’. Questi stolti non hanno mai capito il significato dell’uccisione di Angelo”.
Per i due fratelli è chiaro che alcuni uomini delle istituzioni quella notte e i giorni a seguire hanno messo in atto un’azione di depistaggio.
“Il reato di depistaggio è regolato dall’articolo 375 del Codice Penale e prevede dai 3 agli 8 anni di reclusione. Speriamo che non si arrivi al ridicolo e, si parli di prescrizione di questo reato, perché se è stato commesso da uomini dello Stato è infamante”.