Bimbo nato morto, condannati due ginecologi ed una ostetrica per omicidio colposo.
È quanto stabilito nella sentenza di primo grado arrivata ieri dopo la morte del piccolo Raffaele che purtroppo non vide mai la luce del sole dato che già morì ancor prima di nascere in una sala operatoria della clinica Tortorella.
I genitori hanno chiesto giustizia più volte e lo hanno fatto attraverso il loro legale di fiducia, l’avvocato Laura Ceccarelli. Come si legge su “Il Mattino”, è stato un interminabile procedimento segnato da un cambio di giudice, dalla rinnovazione del dibattimento, da ulteriori perizie che hanno modificato l’originaria contestazione: interruzione di gravidanza.
Ieri la fine del lungo calvario con la condanna dei due ginecologi e dell’ostetrica. Si tratta dei medici Ridolgo Ragone (un anno e sei mesi per omicidio colposo e dieci mesi per falso in cartella) e Nalì Dante (un anno e otto mesi per il primo reato e dieci mesi per il secondo), quindi della ginecologa Rosaria Sorrentino, condannata ad un anno per il solo reato di omicidio colposo.
Nel 2014 la donna è prossima al parto. Si tratta di un maschietto ed è il primo figlio: la sera del 17 luglio fa la sua ultima visita prima del parto dal suo ginecologo. Il medico le dice di recarsi la mattina successiva in clinica. Ma, durante la notte, iniziano le contrazioni. Alle 5 la coppia contatta il ginecologo che dice loro di andare subito in clinica. Alle 5.30 la donna viene visitata dall’ostetrica di turno. Solo verso le 6.45 entra nella sua stanza il ginecologo di guardia della clinica, dopo aver incontrato la madre della paziente. Il medico interviene per romperle il sacco amniotico e l’ostetrica se ne lamenta (probabilmente la disposizione era di attendere il ginecologo di fiducia). Il liquido che fuoriesce è scuro, segno di sofferenza fetale.
Le contrazioni si intensificano e Laura viene portata in sala parto. Arriva anche il suo ginecologo. Alle 7.28 nasce il bambino, Raffaele. Laura non lo sente piangere ma le viene messo tra le braccia. Ma qualcosa non va. Interviene la pediatra che gli aspira i muchi, lo ventila e poi cerca di intubarlo non riuscendoci. I tentativi di rianimazione non vanno a buon fine.
È la denuncia del padre a dare il via al lungo iter giudiziario. Il reato contestato in prima battuta è di interruzione di gravidanza: scatta la citazione diretta a giudizio dei due ginecologi e dell’ostetrica. Nel giugno 2016 ha inizio il processo. A dibattimento quasi ultimato, il giudice viene trasferito. A luglio 2018 il processo ricomincia dinanzi ad altro giudice. Le perizie portano ad una diversa contestazione di reato. Gli atti vengono rimessi alla Procura per le nuove contestazioni. Si arriva a febbraio 2020 e l’emergenza Covid rallenta tutto. Ieri la sentenza di primo grado.
Un riconoscimento di colpa che i giudici manifestano anche nella provvisionale da 170mila euro a genitore riconosciuta a carico dei tre imputati.