Non luogo a procedere per i 7 medici iscritti nel registro degli indagati per la morte di Massimiliano Malzone, il 39enne di Montecorice che perse la vita l’8 giugno del 2015 nel Centro di Igiene Mentale dell’ospedale di Sant’Arsenio dove era stato ricoverato in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio. Questo quanto deciso lo scorso 25 marzo dal Gip presso il Tribunale di Lagonegro, dottor Mariano Sorrentino.
Massimiliano morì dopo 12 giorni di TSO. Ai familiari fu consegnato uno zaino contenente delle maglie intime sporche di urina, aspetto che li spinse a presentare denuncia. Dalla relazione autoptica del medico legale Adamo Maiese emerse che il 39enne era stato sottoposto a contenzione fisica, ma non continua e mai con il blocco di tutti gli arti. La famiglia ha sempre preteso di sapere se questo regime possa aver contribuito ad aggravare l’effetto dei farmaci, letali per Malzone, che morì in seguito ad un arresto cardiaco provocato dall’azione di una serie di medicinali che gli erano stati somministrati durante il ricovero. Ci sarebbe stata incongruità, secondo i parenti, tra la potente terapia farmacologica praticata su Massimiliano e la patologia degenerativa di cui soffriva, una paraplegia spastica ereditaria.
Nell’ottobre del 2020 il Gip Sorrentino aveva conferito l’incarico al dottor Maiese (già nominato all’epoca dei fatti dalla Procura per la valutazione sul decesso di Malzone) per un’integrazione che chiarisse definitivamente se rientrava nella diligenza dei medici indagati un controllo cardiaco, quindi un elettrocardiogramma più puntuale, considerata la somministrazione al 39enne di determinati farmaci. Il legale della famiglia Malzone, l’avvocato Michele Capano, infatti, ha sempre sostenuto che quando questo genere di medicinali si utilizza in maniera massiccia è necessario monitorare il paziente. Nel caso di Malzone non era andata così.
Dalla successiva relazione depositata dal dottor Maiese emerge l’elemento della “cautela” che si sarebbe dovuta utilizzare nella somministrazione dei farmaci, ma anche che nei giorni precedenti il decesso del 39enne cilentano non vi erano state evidenze in merito ad una situazione di allarme e quindi l’ulteriore elettrocardiogramma non era stato praticato perchè nessun aspetto della cartella clinica lo imponeva. Sulla base di questa recente relazione il Gip si è pronunciato sul non luogo a procedere per i 7 medici (tre di loro sono stati condannati in maniera definitiva dopo il processo relativo alla morte del maestro Mastrogiovanni durante un TSO all’ospedale di Vallo della Lucania).
Ma i familiari di Massimiliano, i genitori, il fratello e la sorella, e l’avvocato Capano non si sono fermati e attualmente pende dinanzi al giudice Valiante del Tribunale di Salerno un procedimento civile avviato nel 2018 per il risarcimento danni, che vedrà la prossima udienza il 31 maggio. “Quella ‘mancanza di cautela’ che si intravede nella relazione del dottor Maiese – ci spiega l’avvocato Capano, particolarmente attento agli aspetti del TSO e a curare gli interessi di numerosi familiari delle vittime di questo genere di trattamento – che non è sufficiente per l’attribuzione della responsabilità penale, ci auguriamo e lavoreremo perchè possa essere sufficiente invece per l’attribuzione di una responsabilità sul piano civile“.
– Chiara Di Miele –
- Articolo correlato: