Questa mattina, nelle aule del Tribunale di Lagonegro, si è continuato a discutere della morte di Massimiliano Malzone per cui 7 medici sono stati iscritti nel registro degli indagati. Il 39enne di Montecorice perse la vita l’8 giugno del 2015 nel Centro di Igiene Mentale dell’ospedale di Sant’Arsenio dove si trovava ricoverato in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio.
L’avvocato Michele Capano, che difende la famiglia Malzone, a maggio aveva chiesto la costituzione di parte civile per il Comitato Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) e per il Centro Iniziativa Antipsichiatrica (costituitosi parte civile anche nel processo per la morte di Franco Mastrogiovanni). Il giudice Sorrentino oggi ha sciolto la riserva sulla richiesta del legale respingendola perchè le due associazioni di tutela dei pazienti psichiatrici non hanno un collegamento con il territorio.
Il 18 settembre prossimo il giudice comunicherà le sue decisioni in merito al rinvio a giudizio, rispondendo anche ad alcune eccezioni di rito avanzate dalle difese.
Lo scorso anno il Gip presso il Tribunale di Lagonegro aveva respinto la richiesta di archiviazione delle indagini sulla morte di Malzone avanzata dal pm, disponendone ulteriori in merito all’ipotesi di omicidio colposo. Erano stati i familiari del 39enne cilentano a chiedere, in un primo momento, al sostituto procuratore di disporre nuove indagini, mentre nel 2017 si sono fermamente opposti alla richiesta di archiviazione.
Massimiliano Malzone morì dopo 12 giorni di TSO. Ai parenti fu consegnato uno zaino contenente delle maglie intime sporche di urina. Questo aspetto li spinse a presentare denuncia e dalla relazione del medico legale Adamo Maiese emerse che il 39enne fu sottoposto a contenzione fisica, ma non continua e mai con il blocco di tutti gli arti. La famiglia, fin da subito, ha preteso di sapere se questo regime possa aver contribuito ad aggravare l’effetto dei farmaci, letali per il proprio caro. Malzone, infatti, morì in seguito ad un arresto cardiaco provocato dall’azione di una serie di medicinali che gli erano stati somministrati nel corso del ricovero.
I familiari hanno sempre fatto leva sull’incongruità tra la potente terapia farmacologica praticata sullo sventurato 39enne e la patologia degenerativa di cui soffriva, una paraplegia spastica ereditaria.
– Chiara Di Miele –
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