Cassandra Cozza, architetto e giovane docente della Scuola di Archittetura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano ed originaria di Montesano sulla Marcellana, ha tenuto nelle scorse settimane una lezione sul Vallo di Diano dove sono state esplorate fragilità e potenzialità del territorio. Ne abbiamo parlato con lei.
– Nel Vallo di Diano: re-cycle, infrastrutture, aree interne e biodiversità è il tema di una Sua recente lezione al Politecnico di Milano. Ci spiega da dove nasce questo progetto e come è stato accolto?
Nel 2013 stavo conducendo una ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Pianificazione – Politecnico di Milano, per l’affinità con le tematiche affrontate proposi di inserire tra i casi studio il Vallo di Diano. La ricerca iniziò con delle analisi sul tratto ferroviario della linea Sicignano-Lagonegro. Poco dopo divenni membro del Laboratorio Re-cycle e potei approfondire la mia ricerca nell’ambito del Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale Re-cycle Italy , ciò mi consentì di confrontarmi con la comunità scientifica sia sui temi trattati sia su casi simili. Il progetto fu accolto con molto interesse, dando esito a delle pubblicazioni, ad una mostra e presentato in diversi seminari. La professoressa Emilia Corradi aveva pubblicato un mio saggio nel libro Infrastrutture minori nei territori dell’abbandono.
– Tra le fragilità del territorio di cui parla, spiccano anche i vari fenomeni di abbandono come i centri storici ed i manufatti dell’agricoltura. Settori, dove il Vallo di Diano ha tutte le carte in tavola per competere ma rimane tuttavia indietro. Come spiega questo?
Le fragilità che ho mappato sono presenti in molti altri ambiti territoriali, esse sono l’esito di processi socio-economici e demografici che hanno avuto ripercussioni sull’uso dello spazio, includendo sia il territorio sia i manufatti. Le potenzialità inespresse, invece, sono risorse che non si è ancora stati capaci di valorizzare. Dal dopoguerra, in Italia, si è costruito tantissimo; spesso più come forma d’investimento che come risposta ad un’esigenza reale. I vari fenomeni di abbandono ne sono un chiaro esempio, nella ricerca li avevo divisi per categorie: l’abbandono dei centri storici causato dall’edificazione incontrollata del fondovalle, l’abbandono dei manufatti e dei terreni agricoli, della ferrovia, ma anche dell’incompiuto, come i cantieri che si sono fermati lasciando scheletri che deturpano il paesaggio. Anche le fragilità possono avere un potenziale: nel caso dell’abbandono, ad esempio, i beni possono essere trasformati in patrimonio da riutilizzare senza consumare suolo, sia esso agricolo o naturale. Adesso è il momento di creare una comunità di scopo in cui cittadini e amministratori riconoscano il potenziale del territorio e, in maniera coesa, attuino politiche di sviluppo per trasformare fragilità e potenzialità inespresse in opportunità superando campanilismi e divisioni politiche, occorre fare gioco di squadra!
– Lei parla anche di tutela della biodiversità e sempre più spesso si parla di Green Economy. Come il Vallo può cavalcare questa possibilità di crescita economica?
Il Vallo di Diano è un’area pilota della Strategia Nazionale per le Aree Interne. Adesso si deve lavorare sulla filiera cognitiva Città montana della biodiversità, riconoscere e far conoscere il lavoro degli innovatori che hanno già ottenuto dei risultati in questo campo e promuovere uno sviluppo coerente con tale identità creando occupazione e, allo stesso tempo, salvaguardando il territorio. Occorre, innanzitutto, lavorare sull’accessibilità, sulla mobilità interna e superare il digital divide per poi creare delle filiere virtuose da promuovere attraverso azioni di marketing territoriale.
– In conclusione, Lei è una delle giovani intelligenze valdianesi che ha deciso di andare via. Cosa pensa di questa emigrazione di giovani dai nostri territori e come vede il futuro del Vallo?
Ho lasciato il Vallo di Diano molti anni fa per frequentare il Politecnico di Milano e, per formarmi in Italia e all’estero, ma non ho mai abbandonato il territorio. Torno spesso e cerco di usare ciò che ho imparato a beneficio del territorio Valdianese, che promuovo con passione e impegno. Il problema dell’emigrazione è legato alle scarse possibilità di occupazione; i giovani lasciano il Vallo di Diano ma, più spesso, lasciano l’Italia. È per questo che dobbiamo impegnarci a creare nuove opportunità, promuovendo lo sviluppo economico con grande senso civico. Occorre una visione, e occorre buona politica. Io sono ottimista, il Vallo può avere un futuro: ha molte potenzialità e, nonostante il tasso di inurbamento in continua crescita, ha un trend demografico stabile. Ciò significa che può farcela, ma solo se supportato dall’impegno di ogni cittadino, da una buona politica, dal senso civico, dal rispetto della legalità e dalla tutela dell’ambiente.
– Claudia Monaco –