“Quando a scuola dicevo di voler studiare la matematica mi scoraggiavano“. Potrebbe essere l’espressione di un ragazzo turbolento e con poca dimistichezza per i numeri, invece a dichiararlo è Michele Mele, brillante matematico 32enne salernitano nato con un’eredodegenerazione retinico-maculare che lo ha reso gravemente ipovedente.
Laureato giovanissimo in Matematica all’Università degli Studi di Salerno, ha svolto il Dottorato di ricerca in Scienze Matematiche ed Informatiche presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. E’ autore di due libri, “L’Universo tra le dita” e “Il richiamo della strada” (Edizioni Efesto), in cui narra di scienziati e personaggi delle grandi scoperte che erano o sono ipovedenti o non vedenti.
In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità Michele Mele ci ha piacevolmente concesso un’intervista in cui le parole chiave sono caparbietà, contesto, coraggio e inclusione.
- Parlaci del problema che ti ha reso ipovedente.
Sono nato con una eredodegenerazione retinico-maculare, alla quale poi si è aggiunta qualche anno dopo un’altra patologia. Sono gravemente ipovedente, ma ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che non si è mai sforzata di farmi sentire diverso, non sono stato chiuso sotto la proverbiale campana di vetro sotto cui tanti vengono imprigionati con l’idea di proteggerli. Invece no, gli si procura un danno maggiore, perchè prima o poi la vita li ferirà ed è meglio che imparino a difendersi subito. Ho avuto delle esperienze sia positive che negative nella scuola dell’obbligo. Un professore al Liceo mi disse: “Tu la matematica non la puoi capire, perchè non vedi!”.
- Tu, dunque, già da giovanissimo amavi la matematica?
Fin da piccolo ho dovuto geometrizzare lo spazio intorno a me. Per muovermi da un punto A ad un punto B io dovevo considerare il percorso più facile, con meno scalini, meno attraversamenti, dove il marciapiede era più sgombro di ostacoli. Quindi mi sono subito abituato a risolvere piccoli problemi di logistica, perciò quando ho trovato la logistica come materia di studio in Matematica mi sono detto: “Questo è quello che faccio da una vita”. Difatti oggi faccio ricerca sull’ottimizzazione di tempi, risorse, percorsi, spazi per risolvere problemi concreti. Per esempio, durante il Dottorato mi sono occupato di ottimizzare i servizi di assistenza per persone con bisogni speciali nei grandi aeroporti internazionali: ho scritto un algoritmo che riesce a organizzare anche 2000 accompagnamenti in meno di un decimo di secondo.
- Quando hai intrapreso il percorso di studi universitari hai incontrato altri docenti che hanno provato a scoraggiarti?
Ho trovato altro tipo di difficoltà: c’era chi credeva in me e chi invece non lo ha fatto. A Benevento ho trovato un ambiente giovane e frizzante, una piccola Università ma con grandi progetti e un gruppo di lavoro in cui sono a mio agio. Ognuno di noi svolge il proprio compito e si lavora di concerto per proporre nuove soluzioni scientifiche.
- E poi la decisione di scrivere i tuoi due libri, che trattano della vita di importanti scienziati ipovedenti o non vedenti.
Conosco bene quei pregiudizi che circondano ipovedenti e non vedenti e che li allontanano ancora troppo spesso dalle discipline scientifiche. “Quando mai si è visto un matematico non vedente? O un ingegnere o un medico non vedente?”, questo è il commento standard di molti genitori, insegnanti o burocrati. Al massimo gli consigliano di studiare musica o le discipline umanistiche, spesso però il collocamento mirato diventa la loro unica chance. Negli USA ci sono oltre 1000 avvocati ipovedenti o non vedenti. Su Google ci sono storie di musicisti non vedenti a bizzeffe. Ma quanti matematici, medici, ingegneri, chimici non vedenti conosci? Sono stati spesso scoraggiati e quindi sono pochi. Per abbattere questi pregiudizi, durante la prima ondata di pandemia ho voluto raccontare chi invece lo ha già fatto, per dimostrare che non solo si può fare, ma è stato già fatto. In “L’Universo tra le dita”, pubblicato da Edizioni Efesto, nel 2021, ho raccolto le storie di dieci scienziati ipovedenti o non vedenti, dal ‘600 fino ai giorni nostri: 6 figure del passato e 4 viventi che ho intervistato. Mi sono procurato antichi documenti dell’epoca, affidandomi agli archivi online, al British Museum, all’Università di Cambridge e alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Mi dicevo: “Se con questo libro riesco a cambiare la mente di una sola persona, ne sarà valsa la pena”. Mi arrivano ancora adesso commenti e messaggi di genitori e insegnanti di ragazzi non vedenti a cui il libro ha cambiato la vita. Come nel caso di una ragazza non vedente che ha convinto i genitori a farla iscrivere all’Università e che, dopo anni di isolamento, ha coronato il suo sogno. Il libro è giunto alla decima ristampa e ha vinto vari premi, tra cui il Premio Città di Cattolica, noto come l’Oscar della Letteratura, scelto tra più di 2400 lavori da 33 nazioni diverse.
- Il tuo secondo lavoro è invece fresco di stampa.
E’ uscito a fine ottobre e si intitola “Il richiamo della strada”. Tra le 10 figure di cui avevo scritto nel primo (ci sono l’inventore del tampone ultrarapido per il Covid, il primo medico non vedente della storia, uno studioso di api e di miele e cera a cui dobbiamo tanto) c’è anche John Metcalf, il primo ingegnere stradale della storia, non vedente, autodidatta e vissuto cent’anni prima del Braille. È proprio lui il protagonista del mio secondo libro. Ha avuto una vita lunga e straordinaria: da bimbo era il monello della città, è stato musicista di alto livello, imprenditore della logistica, guida, trasportatore, contrabbandiere e tutto questo da non vedente, perchè aveva perso la vista a 6 anni a causa del vaiolo. Dopo i 30 anni incontrò per caso l’ingegneria stradale. In Inghilterra ancora oggi esistono più di 300 km di strade realizzate da Metcalf, oltre ad una ventina di ponti e a una manciata di vecchie case cantoniere. E’ il più amato tra i personaggi del mio primo libro, perchè una vita di questo tipo sarebbe straordinaria anche per un uomo vedente. Metcalf veniva da una famiglia povera, è un self made man e grazie a tutte le sue attività è morto milionario.
- A quale dei personaggi che hai raccontato ti senti più affine?
Non credo ce ne sia uno specifico. Questi personaggi rappresentano un mix di diverse caratteristiche: coraggio, persistenza, sana testardaggine, razionalità, capacità di sognare, talento, genio. Ma ognuno di loro le ha in proporzioni diverse.
- Tra le innumerevoli tue attività hai anche ideato un progetto per il Touring Club Italiano ed uno con l’ONU. Parlacene.
Ho ideato e coordino il progetto “Accessibilità all’Arte”, che si propone di realizzare riproduzioni tattili bidimensionali di beni artistici bidimensionali per ipovedenti e non vedenti. Non è una mostra tattile per non vedenti, ma in tutti i luoghi che noi volontari Touring teniamo aperti e anche in altri installiamo le riproduzioni tattili. In Campania siamo partiti da Santa Maria della Lama a Salerno, poi ci sono le chiese longobarde a Corte di Capua, tre chiese napoletane, San Severino e Sossio, San Giorgio Maggiore e Santa Maria Egiziaca a Forcella. Poi ci sono altri siti che hanno chiesto il nostro supporto, tra cui il Santuario di Pompei, la Cattedrale di Salerno e il Parco Archeologico di Paestum, dove la Tomba del Tuffatore è anche in versione tattile grazie al nostro lavoro. Sono anche fondatore, education officer e membro del direttivo del progetto “Science in Braille” dell’ONU, per il quale collaboro con un collettivo di scienziati ipovedenti e non vedenti da tutto il mond, sono l’unico italiano del direttivo.
(Michele Mele, appassionato di musica e calcio, collabora con numerose testate giornalistiche tra cui la rivista specialistica musicale “Bright Young Folk”, il periodico di attualità “Yorkshire Bylines” ed il sito sportivo “Il Calcio a Londra”, ndr).
- Ma in Italia a che punto siamo con l’inclusione? Come siamo messi con le barriere e i limiti che le Istituzioni stentano ad affrontare ed eliminare?
In Italia siamo molto indietro, c’è poco interesse per tutte le minoranze, che vengono messe da parte. Si tutela sempre e solo la maggioranza perchè la minoranza viene vista come un peso, un fastidio e perchè porta pochi voti. Le Istituzioni hanno poco interesse e anche quando promuovono iniziative per l’inclusione lo fanno per fare bella figura o per ghettizzare, vedi le spiagge per persone con disabilità. Questo è un problema serio, perchè in questo modo non si fa reale inclusione ma si pensa di dare un contentino a quella minoranza, ghettizzandola. Siamo indietro anche perchè di inclusione si parla tanto, ma si fa poco. Dico sempre che è il contesto che crea la disabilità e non un pugno di cellule in meno. Ed è su questo che io batto molto: far capire l’importanza di un contesto. Nei miei libri io ho scritto di geni, ma il loro talento è riuscito a sbocciare perchè hanno trovato un contesto inclusivo o perchè sono riusciti a crearselo. Quante grandi menti abbiamo perso perchè il contesto in cui sono nate e cresciute non è stato inclusivo? E quante ne perdiamo ancora oggi?
- E allora tu cosa consigli di fare ai giovani con bisogni speciali per stravolgere un contesto che li limita?
Famiglia e scuola devono smetterla di combattersi e lavorare insieme, perchè sono i primi agenti responsabili di un contesto inclusivo. Parole giuste: basta usare handicap, minorati della vista, ma parlare di persona con disabilità o con bisogni speciali. Poi bisogna smetterla di chiudere la persona con disabilità sotto una campana di vetro, perchè ha il diritto di seguire la strada che il suo talento suggerisce. Come tutti gli altri, anche una persona con bisogni speciali vive una volta sola e non è corretto che una decisione motivata solo da un’ideologia o da false credenze pesi sul suo futuro. Le difficoltà arriveranno inevitabilmente, ma è bene che i ragazzi con disabilità siano preparati. Se un ragazzo non vedente chiede di studiare Biologia o matematica, non vedo perché non possa farlo, non mi pare una richiesta dell’altro mondo. In Italia, tra i ragazzi (maschi) con gravi patologie della vista solo il 7% mette su famiglia, un dato spaventoso. Fanno la stessa fatica ad assicurarsi un mutuo, avendo lavori meno certi o a reddito più basso. Tutto contribuisce alla creazione del “ghetto sociale”. L’unico modo per liberarcene è abbattere barriere e pregiudizi e dare a tutti la possibilità di seguire le proprie inclinazioni.