Nei giorni scorsi l’infermiera e poetessa Maria Teresa Chechile, originaria di Atena Lucana, è stata ricevuta a Montecitorio per consegnare una poesia sul Covid e presentare il suono nuovo libro, fresco di stampa e che a breve sarà disponibile in tutte le librerie ma già prenotabile online, “Le foglie non cadono mai uguali”, con firme d’eccezione che ne hanno curato la prefazione quali Barbara Alberti, S.E. Mons Angelo Spinillo, Vescovo di Aversa e presidente della Commissione episcopale per il laicato (post fazione della caporedattrice Rai Alessandra Ferraro).
Un esordio importante per quest’ultimo lavoro letterario che suggella da subito l’importanza del messaggio espresso: la cura e l’attenzione al genere umano in tutte le sue forme. Quello di Montecitorio non è stato solo un incontro, ma un dialogo per raccontarsi e raccontare storie di vita e di esperienze che nel libro vengono sviscerate traendo spunto dalle fragilità umane. Le sensibilità della Chechile hanno colpito il Presidente della XIV Commissione Politiche dell’Unione Europea, l’on. Alessandro Giglio Vigna, che le ha conferito la medaglia di bronzo della Camera dei Deputati.
“Onorata di essere qui oggi – sono le parole con cui la poetessa ha ringraziato Vigna -. Attenzione al pensiero quale espressione più alta e nobile del muovere di esso all’interno di quel processo formativo della esistenza di ciascuno di noi. Consegno la poesia simbolo di quel tempo epocale che ci ha visti tutti coinvolti nella più grande pandemia del secolo. La poesia e questi versi, dopo aver peregrinato in lungo e largo per l’Italia, giungono oggi fin qui e diventano ulteriore testimonianza e memento per non dimenticare. Momento istituzionale e solenne per rivelarla in tutto il suo splendore e significato. Mostrarla a tutti gli Italiani. Quell’evocare la resilienza, soprattutto, come capacità di saper reagire alle avversità, anche quelle più estreme. Di avere sempre cura dell’essere, in quanto umano e, non da meno, in ogni sua forma espressiva. Di saper unire saggiamente quella particolare attitudine, in un connubio perfetto, tra cura del corpo e cura dell’anima. Socialmente la pandemia ha inciso in maniera enorme sul nostro vivere quotidiano, emotivamente ci ha tragicamente spiazzati. È da quel primo grande periodo del marzo 2020, che le nostre paure hanno creato frustrazioni e incertezze future, ma è anche da esse che questi miei versi prendono corpo per generare speranze e riscatto. Quando la primavera in quel triste periodo si affacciava per mostrarsi, noi umani, di contro, eravamo divenuti indifesi e fragili, ma pronti a resistere. E abbiamo saputo reagire, con tenacia e determinazione dinanzi ad un virus che si è mostrato, sin da subito, devastante e dirompente. È così, è da quella osservazione di quella mattina del 26 marzo 2020 che nascono questi versi, proprio mentre mi recavo a lavoro, presso l’ospedale Carlo Urbani di Jesi, in qualità di infermiera. È prendendo esempio dalla primavera che, sia pur in quella giornata si attardava ad arrivare, tanta era la pioggia, il vento a scuotere le foglie, rami battuti dalle intemperie, che ho visto quel fine e sottile parallelismo. Saper essere come fa la primavera che, per quanto possa attardarsi ad arrivare, prima o poi ritorna, con forza e con sempre più rigogliose gemme e a nuova vita. All’interno del libro è espressa tutta la determinazione e la potenza di quell’essere noi stessi ‘umane foglie’, ma mai avvinte. Cadere, se non anche mai uguali, ma che hanno in sé un unico grande comune denominatore: rigermogliare, in un afflato unico e univoco“.