Comuni italiani “rimandati” sul livello di trasparenza della filiera della confisca dei beni mafiosi: su 1076 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati 670 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet. Ciò significa che ben il 62% dei comuni è totalmente inadempiente.
Libera presenta “RimanDATI” il primo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, primo appuntamento di una serie di iniziative in occasione dell’anniversario dei venticinque anni dall’approvazione della Legge 109/96.
“La maggior parte lo fa in maniera parziale e non pienamente rispondente alle indicazioni normative – spiega – Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia compreso le isole con ben 392 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 213 comuni e il Centro con 65 comuni che non pubblicano dati. A livello regionale tra le più virtuose Basilicata, Marche, Emilia Romagna, Liguria e Lazio. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo Umbria, Trentino Alto Adige, Abruzzo, Sardegna, Toscana, Veneto, Lombardia e Campania”.
Il Report di Libera (il monitoraggio ha avuto inizio nel mese di maggio 2020 e si è chiuso il 31 ottobre 2020) vuole accendere una luce sulla carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono nei loro territori perché sono proprio i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni.
I comuni campani raggiungono una sufficienza: su 138 comuni destinatari di beni confiscati sono 53 i comuni che non pubblicano l’elenco e le informazioni su destinazione, uso, tipologia dei beni confiscati sul loro sito internet pari al 38,4%. Buona anche la performance per gli Enti sovra territoriali: la città metropolitana di Napoli e la Provincia di Avellino destinatari di beni confiscati, pubblicano gli elenchi. Bocciata la Regione Campania che non adempie in nessun modo all’obbligo di pubblicazione.
La Regione Campania, non pubblicando l’elenco, ha un ranking pari a 0.0 anche all’esito della seconda ricognizione, non avendo risposto alla domanda di accesso civico. Raggiunge il punteggio di 77.5 Napoli e 91.6 Avellino. Considerando il campione dei 138 comuni, sul piano provinciale, è la provincia di Salerno a conquistare il primato con un ranking alla seconda ricognizione, calcolato solo sui comuni che pubblicano l’elenco pari a 64.3 (47.0 su tutti i comuni). Seguono la provincia di Caserta con 57.9, quella di Napoli con 56.9, quella di Avellino con 53.5 e, infine, quella di Benevento con 47.1.
“La base di partenza del lavoro di monitoraggio – spiega Libera – coincide con il totale dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati destinati i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Il primo dato ricavato dal lavoro di monitoraggio è quello più immediato e risponde alla semplice domanda: quanti comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge?”.
Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione. Il formato aperto consente infatti una fruibilità totale da parte dei cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere con coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza. La ricerca ha evidenziato in maniera piuttosto evidente come la logica degli open data sia ancora estranea alla stragrande maggioranza degli enti monitorati. Solo il 14% dei comuni (56 in totale) presenta formato aperto che consente infatti una fruibilità totale da parte dei cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere con coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza.
“Il report – commenta Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera – analizza l’operato dei comuni e ad essi si rivolge: sono loro gli enti più prossimi al territorio e il primo fronte per l’esercizio della cittadinanza; potenziare le loro effettive capacità di restituzione alla collettività del patrimonio sottratto alla criminalità non va inteso solo come l’adempimento di un onere amministrativo, ma come un’opportunità di buon governo del territorio. Ecco perché insistiamo nel ritenere che la trasparenza, anche in questo ambito, debba e possa essere considerata anch’essa un bene comune, in ciò confortati dalle previsioni normative del Codice Antimafia, che impongono agli Enti Locali di mettere a disposizione di tutte e di tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco. Una previsione ulteriormente rafforzata dalla legge di riforma del Codice, che, nel 2017, ha introdotto la responsabilità dirigenziale in capo ai comuni inadempienti. RimanDATI è un forte richiamo alla necessità di dare priorità all’azione culturale della trasparenza: chiediamo, infatti, che i beni confiscati diventino sempre di più strumenti di partecipazione democratica e di coesione territoriale. Le esperienze di informazione, formazione ed accompagnamento territoriale hanno reso evidente l’importanza di attivare percorsi di progettazione partecipata e di monitoraggio civico, attraverso il coinvolgimento dei cittadini e delle realtà sociali”.
“Quando parliamo di trasparenza delle informazioni sui beni confiscati da parte degli Enti Locali – conclude Libera – dobbiamo necessariamente prendere atto di come ci sia ancora tanto lavoro da fare per raggiungere un quadro almeno di sufficienza e avere a disposizione dati soddisfacenti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Ecco perché abbiamo detto ‘rimanDATI’. L’esito di questo esame cui abbiamo sottoposto i comuni ci impone di fare come per gli studenti e le studentesse che non riescono a superare a pieni voti l’anno scolastico e che, per questo, vengono ‘rimandati a settembre’. Il nostro esame di riparazione dovrà avere i tempi e i modi di un’azione civica che induca i comuni a conformarsi pienamente a quanto impone loro la legge. Il nostro non vuole essere un giudizio tranchant, una bocciatura perentoria. Al contrario, noi chiediamo dati pubblici e di qualità perché siamo convinti che essi ci permettano di prenderci cura di un bene comune oltre la logica del mero accesso civico, in un clima positivo e costruttivo di cooperazione con le amministrazioni. Conosciamo bene del resto la complessità della materia e le difficoltà che gli Enti Locali sono costretti ad affrontare quotidianamente, sia in termini di carichi di lavoro che di risorse umane e di competenze a disposizione. Ma siamo convinti che, insieme, si possano e si debbano trovare le soluzioni utili a garantire la trasparenza. Con lo stesso spirito di costruzione e cooperazione, avanziamo alcune proposte politiche che, a partire dal miglioramento delle condizioni e dei livelli di trasparenza dei comuni, incidano sulla possibilità di rendere sempre più i beni confiscati, attraverso il loro riutilizzo sociale, palestre di vita e beni comuni”.
“Il quadro generale non è drammatico – dice Riccardo Christian Falcone, responsabile del settore beni confiscati del Coordinamento regionale di Libera in Campania – ma resta fortemente critico. I dati relativi alla Campania dimostrano che, grazie all’azione civica di Libera, si sta rafforzando negli Enti locali la consapevolezza del valore della trasparenza in materia di beni confiscati. Conoscere se sul proprio territorio ci siano beni, dove siano ubicati, chi li gestisca o se e perché siano ancora inutilizzati è la premessa per qualunque tipo di azione di animazione territoriale e di valorizzazione dei beni e delle esperienze di riutilizzo. Ecco perché insistiamo per ottenere la trasparenza totale sui dati e le informazioni relative ai beni confiscati ed ecco perché continueremo a lavorare nella nostra azione di monitoraggio civico, anche sul fronte degli investimenti previsti, in materia di beni confiscati, dal PNRR”.