A chi vuole scoprire se il segreto della longevità risieda nell’armonia tra aria pura, alimentazione sana, attività motoria e affetto familiare, consiglio di dialogare con un centenario.
Teresa Soria, 101 anni compiuti da poco, mi ha accolto a casa sua con la porta semiaperta, a Caselle in Pittari, nel paese vecchio di fronte ad un palazzo nobiliare. La sua routine quotidiana comprende tutti questi elementi salutari, oggi come pure 90 anni fa: fin da giovanissima è andata a lavorare nei campi e con gli animali. Vive da sola, va a fare la spesa, a pagare le bollette, fa visita ad amici e parenti e così loro con lei.
Nonna di 4 nipoti, Teresa ha vissuto sempre a Caselle in Pittari, all’infuori di una decina di anni in cui ha seguito il figlio prima in Calabria, poi a Milano. “Avevo la pressione alta a Milano e la pillola non faceva effetto. Il medico mi disse di tornare a respirare l’aria del mio paese. Così feci e sono stata bene” racconta.
Con i ricordi vividi dei volti del passato, della fatica nei campi da cui trasportava le materie prime in testa, Teresa dice di esser arrivata a 101 anni grazie alla salute: “Ho sempre lavorato. Sono arrivata fino ad oggi con la salute”. Ha vissuto e superato la guerra con lo stesso coraggio con cui ha sostenuto la sua dignità nella vita privata. Nubile con un figlio, all’epoca fu motivo di giudizio e pettegolezzo in paese, ma tenne duro e seppe andare avanti.
Teresa è una donna serena, determinata e di principio. Trasmette l’affetto di una nonna, saggia per le esperienze vissute e premurosa con il prossimo.
- Signora Teresa, come ha trascorso la giornata?
Mi sono svegliata che stava facendo giorno. Ho mangiato una brioche per ingerire una pillola e sono andata in campagna. Lì c’è sempre da fare, ma quest’anno c’è troppa erba, quella cammina. Ho le galline, di solito pulisco un po’ davanti casa, ho sistemato e verso le 11 sono tornata a casa. Ieri ho cucinato i fagioli e oggi li ho mangiati con un po’ di pasta, poi un pezzetto di salsiccia e dopo ho lavato i piatti, la cucina e rassettato. Adesso guardo la tv. Faccio tutto da me, viene una ragazza ogni 4-5 giorni per lavare i vetri e il lampadario.
- Com’erano i suoi giorni da giovane?
Ho sempre lavorato. Coltivavamo di tutto, non ci mancava mai niente da mangiare. Raccoglievamo olive e castagne, che in parte davamo ai maiali. Usavamo tanto olio, ne abbiamo avuto sempre in abbondanza. Abbiamo lavorato, però non ci è mancato mai niente. Nemmeno nell’anno della guerra. Ho lavorato a Sanza, ai Farnetani, quando mietevamo il grano trasportavamo i fasci di spighe in testa e li portavamo nell’aia sopra il ‘casino’, lì c’erano i buoi e ‘pisavamo’ il raccolto. Ho lavorato pure sul Monte Cervati quando i napoletani misero le caldaie verso il Ponte dell’Inferno. Io con altre ragazze raccoglievo la lavanda. Abbiamo alloggiato in una casa con un sacco di paglia a terra, per quasi un mese. C’era un’anziana che faceva il caporale; noi per la via dei muli trasportavamo 60 kg di ‘spiga grossa’, lavanda, in testa. Non so come arrivavamo giù e i napoletani si arrabbiavano pure perché ritenevano che i sacchi non fossero pieni del tutto. Ho lavorato tanto in vita mia, sono arrivata fino ad oggi con la salute, grazie a Dio. Nei boschi sanzesi ho aiutato pure i carbonai, trasportando 5 fascine a viaggio. Anche a Caselle ho lavorato. Solo ad una parte non sono andata: a Battipaglia a raccogliere pomodori. Non andai perché mio padre mi iscrisse ai coltivatori diretti.
- Cosa portavate da mangiare durante le giornate di lavoro in campagna? E oggi qual è la sua dieta?
Per pranzo cucinavamo fagioli, patate, qualsiasi cosa avessimo. Facevamo i tagliolini, le orecchiette, il pane. Avevamo la farina, c’erano i mulini. Ma quotidianamente non potevamo portarci il piatto pronto quindi altre volte mangiavamo il pane con i peperoni arrostiti o fritti con quel bell’olio. Latte non ne ho bevuto, nemmeno quando lo facevano i miei animali. Carne non ne mangio, né vitella, né capretto, né agnello, solo coniglio e pollo, i miei. Quest’anno non ne ho. Due li abbiamo macellati ad agosto e mio figlio se li è portati. Li riprenderò ad aprile per farglieli trovare pronti d’estate. La verdura è tanta: broccoli, rape, fagioli, patate, zucchine, pomodori. Bevande gassate non ne compro proprio. Ho mangiato sempre così: un giorno faccio le patate, un giorno la minestra, cambio spesso ma sempre verdure o legumi. Faccio la polenta. La sera invece mangio solo un tozzo di pane per prendere la pillola.
- Ha avuto una vita serena o ha fatto fronte a tante preoccupazioni?
Sono stata serena sì, ma pure con preoccupazioni per i fratelli, la famiglia. I tempi della guerra sono stati brutti, ma non ci è mai mancato da mangiare poiché, dopo aver sfondato un muro in casa, nascondemmo il grano, prosciutti e altre cose e scendevamo in quella stanza con una scala segreta. C’era tanta gente che moriva di fame. Una mia zia aveva 6 figli e mia mamma e un altro parente le davano farina e pane. Le mamme dicevano ai bambini di venire da zì Mariangela, mia madre, per avere un po’ di pane, e poi lei offriva anche del formaggio e glielo nascondeva nel camiciotto. Tempi brutti. Non sia mai oggi.
- L’ambiente familiare contribuisce a vivere più a lungo?
Con i miei fratelli ci siamo voluti sempre bene, non abbiamo mai litigato e ci siamo aiutati a vicenda. Quando dividemmo la proprietà di nostro padre, andammo tutti insieme a cena a festeggiare. Non si può litigare per la roba. Fin quando non ho seguito mio figlio fuori, ho vissuto con lui insieme a mio fratello, mia cognata e i figli. Li abbiamo cresciuti insieme. Ancora oggi quando viene mio figlio da Milano lo vogliono lì almeno una sera. E pure con i miei nipoti sono molto legata: ho cresciuto Teresa e Daniele a Milano. Qui a Caselle vado a trovare mia nipote, alcune amiche vengono da me. Incontro sempre qualcuno. Sono stata una donna determinata ed onesta. Da quando mandai fuori di casa il padre di mio figlio, non ho mai più guardato un uomo e questo lo può dire tutta Caselle. Lui rimandava di continuo il matrimonio così gli dissi: ‘Tu hai fatto a modo tuo, ora faccio a modo mio’.
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