E’ un dato allarmante per la provincia di Salerno quello che emerge da un’elaborazione pubblicata ieri ed effettuata dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre in merito ai redditi medi dei lavoratori autonomi riferiti alla dichiarazione dei redditi 2016, relativa all’anno di imposta 2015.
Su 110 province italiane, infatti, Salerno e il suo territorio provinciale si collocano soltanto al 93° posto, a poca distanza dal fanalino di coda Vibo Valentia. 46.550 sono i lavoratori autonomi o individuali registrati nella nostra provincia il cui reddito medio relativo all’anno di imposta 2015 ammonta a 18.728 euro. La variazione rispetto allo stesso dato calcolato nell’anno 2013 è positiva (+2.394 euro), ma resta il pesante fardello di una posizione troppo bassa in classifica che riflette una situazione difficile vissuta in quasi tutto il Paese e che l’elaborazione della CGIA fa emergere palesemente. Tra le province del Meridione una posizione vicina al fondo della classifica (89° posto) tocca anche a Potenza, i cui lavoratori autonomi hanno dichiarato un reddito medio pari a 18.958 euro.
Secondo lo studio della CGIA i lavoratori autonomi più ricchi d’Italia esercitano l’attività a Milano dove il reddito medio è di 38.140 euro, mentre il dato medio nazionale è pari a 26.248 euro. Rispetto al 2013, anno di picco negativo del Pil registrato dopo la crisi del 2008-2009, il reddito medio a livello nazionale è aumentato di 2.600 euro. La situazione, però, resta difficile non solo in Italia dato che secondo quanto riportato dal “Piano d’azione imprenditorialità 2020” redatto dalla Commissione europea, dal 2004 la percentuale delle persone che preferiscono il lavoro autonomo al lavoro subordinato è scesa in 23 dei 27 Stati membri dell’Unione.
“Sebbene i dati riferiti al reddito medio siano abbastanza positivi – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – non dobbiamo dimenticare che la crisi ha fortemente polarizzato il mondo degli autonomi, condizionando questi risultati. Tra i redditi più elevati, ad esempio, troviamo la fascia di lavoratori tra i 50 e i 65 anni. Viceversa, gli under 40 hanno subito un processo di proletarizzazione della professione che è stato spaventoso. Il crollo dei redditi, l’aumento della precarietà, l’elevata intermittenza lavorativa e lo scarso grado di autonomia hanno caratterizzato l’attività lavorativa di centinaia di migliaia di giovani professionisti. Questa situazione, inoltre, ha divaricato le disparità territoriali: in particolar modo tra il Nord e il Sud del Paese”.
– Chiara Di Miele –