Un giovane uomo entusiasta di ciò che sta creando. Lo vedo silenzioso, seduto a un bar di Napoli con un blocco notes sul tavolino. Un gomito appoggiato. La mano destra che tocca il mento. Lo sguardo concentrato nel vuoto, quasi assente al presente. Sta sognando? Forse. Sta progettando, sicuramente. Si chiama Brando. Un nome non comune al Sud, ma che piaceva molto a sua madre che ha deciso di “affibbiarglielo”. “Alla fine però si è rivelata una scelta giusta perché è un nome che mi rende facilmente identificabile”, afferma orgoglioso. Mi avvicino per chiedergli di lui, entrando per un attimo in quella strana bolla di mistero e solitudine che si dissolvono subito, perché lui ama parlare della sua passione-lavoro, il cinema.
Brando Improta, nato il 5 novembre 1990 a Sant’Agnello (Napoli), è un giovane regista con diversi film nella sua “scatola magica”. Dopo i primi “esperimenti” nel campo della settima arte con “Le piccole cose” e “Canto di Natale”, sono arrivati: “L’amore ai tempi del Covid” nel 2020; “Tra le righe”, film sentimentale del 2021; “Weekend per due (con delitto)” nel 2022, “Ed è subito commedia” nel 2023, fino a giungere all’ultima sua creatura “La perfezione”, uscita nelle sale a gennaio. Di tutti i film Brando Improta è: sognatore, ideatore, autore, sceneggiatore, protagonista e regista. Oltre ad essere vincitore di numerosi meritati premi. Sente di voler sempre imparare e frequentare i grandi del cinema italiano lo rende felice ed entusiasta. Ha recitato tre volte con Carlo Verdone, poi con Toni Servillo, con Paolo Sorrentino nel suo nuovo film “Partenope” ed è stato assistente alla regia ad Alessandro Siani. Nel 2022, come artista napoletano emergente, ha ricevuto dagli eredi di Totò il Premio “Malafemmina”. “La perfezione” ha già vinto come miglior film al Pulcinella FilmFest.
- A che età è nata la passione per il cinema?
Credo di aver avuto quattro o cinque anni. Mi capitò di vedere da un giornalaio in vendita la VHS de “La banda degli onesti” con Totò e Peppino De Filippo. Per qualche motivo l’immagine sulla custodia mi attirava e convinsi mia madre a comprare quel film. Vedendo loro due sullo schermo, decisi che volevo assolutamente lavorare in quel mondo.
Lo immagino bambino timido e silenzioso, rifugiarsi nel mondo magico del cinema. Bambino che sognava di essere, da grande, libero di fare ciò che gli piaceva. E sognava i personaggi, le scene, vedeva e rivedeva, viveva e sognava.
- Cosa pensavano i tuoi genitori di questa tua passione?
La mia famiglia mi ha sempre assecondato. E questa è stata una fortuna, perché ci son tante persone che vorrebbero approcciarsi all’arte in generale e trovano ostacoli prima di tutto tra le mura di casa. Io non ho mai avuto questi problemi e quindi son partito già con una marcia in più.
Il bambino, diventato ragazzo, ha compreso che realizzare un sogno nella vita non è facile. Gli sarebbero servite tanta fatica, pazienza, tenacia.
- Che studi hai fatto? Com’eri come studente?
Ho preso una laurea in Scienze della comunicazione, un diploma in filmaking alla Scuola di cinema di Napoli e un’altra laurea in Cinema, teatro, danza e arti digitali alla Sapienza in Roma. Al liceo ero terribile, mi hanno pure cacciato dall’istituto. Poi mi sono calmato, ma in realtà non ho mai perso la volontà di soppesare ciò che mi viene insegnato. Non do per scontato che sia giusto solo perché chi mi sta davanti è più anziano di me, cerco di capire la persona e se mi sta trasmettendo qualcosa di effettivamente valido. Ho incontrato insegnanti capaci e altri che avrebbero dovuto dedicarsi a qualche mestiere differente.
- Nel tuo percorso hai mai pensato di abbandonare il cinema come opportunità di lavoro?
Si, certo. È un mestiere difficile e a momenti di grande lavoro si possono alternare mesi di stallo e solitudine. In quei periodi può capitare di pensare, forse sarebbe il caso di trovare qualcosa di più stabile o comunque più assiduo.
- In alternativa, che lavoro vorresti fare?
Non ne ho idea. Perché in fondo ogni volta che penso ad altro è più per mancanza di stimoli del periodo, piuttosto che per una effettiva voglia di dedicarsi a qualcosa di diverso.
In effetti, Brando Improta non vuole dedicarsi a nulla che sia diverso, lontano dal mondo del cinema, dalla sua favola che sta vivendo quasi con indisponente fanciullezza. Nulla può impedirgli di continuare a sognare.
- Quali sono i registi e gli attori che consideri tuoi maestri?
Sicuramente Howard Hawks. Era un regista americano capace di fare qualsiasi genere, dal western alla commedia. E soprattutto nel campo delle commedie ho cercato di prendere più possibile da lui la velocità dei dialoghi, le battaglie quotidiane tra i sessi e il ruolo particolarmente indipendente della donna, che nella sua epoca era una novità, nella nostra è finalmente sdoganato. Come registi italiani sicuramente Carlo Verdone e Francesco Nuti, a lui ho dedicato il mio nuovo film.
- C’è un film che avresti voluto dirigere tu? Perché?
Mi sarebbe piaciuto dirigere un film qualsiasi della saga di Indiana Jones. È un tipo di film che mescola ironia e avventura che sento molto nelle mie corde. Ad aprile però in qualche modo mi avvicinerò a questo desiderio dirigendo un corto-omaggio a quei film. Quindi potrò sbizzarrirmi il più possibile nell’emulare quel tipo di cinema.
Chiedo a Brando qualcosa di più personale e mi confida che non ha tempo per “mettere su famiglia”: “È un mestiere che rende i rapporti molto complicati. Non ci sono orari, non ci sono certezze, oggi potrei essere a casa, domani potrei essere dall’altra parte del mondo. Quindi è molto difficile starmi dietro. E per ora va benissimo così”.
- Da dove nascono e come nascono i tuoi soggetti cinematografici?
Da idee semplici. A volte vedo qualcosa o vivo qualcosa da cui penso potrebbe partire una storia interessante. Parto scrivendole su un taccuino, abbozzando idee, anche qualche battuta. Poi metto tutto insieme e nasce un soggetto. Tanti soggetti però rimangono solo sulla carta, deve scattare un qualche cosa in più per farmi decidere che quella storia può svilupparsi. Deve esserci elettricità e l’urgenza di raccontarla.
- Quali sono i tuoi legami con il Vallo di Diano?
Ho dei parenti nel Vallo di Diano a cui sono molto affezionato. Poi nel 2011 ho girato il mio primo corto lì, era un documentario commissionato dal Comune di Sant’Arsenio. È stata la prima volta in cui ho potuto mettermi in gioco completamente in questo lavoro e guadagnarci. Quindi ci sono molto legato, in un certo senso è stata la prima spinta propulsiva, la prima dimostrazione che potevo farlo.
- Quanto consiglieresti ad un giovane di intraprendere la strada del cinema?
Lo consiglierei solo se ha una passione talmente smodata da potercisi dedicare anima e corpo, sette giorni su sette. È un mestiere che richiede tanti sacrifici, umani e materiali, e non lo si può fare senza la giusta dedizione. Inoltre, bisogna avere una tempra forte per poter superare le delusioni, i No, i momenti in cui nessuno ti chiama. Allora se un giovane sente davvero di poter dare il massimo e se ha fatto i conti con tutti i lati negativi deve sicuramente imbarcarsi in questa impresa e ne varrebbe la pena.
- Quali sono i sacrifici che hai fatto e che continueresti a fare per portare avanti i tuoi progetti?
Sacrifici soprattutto umani e relazionali. Passo tanto tempo in viaggio, passo tanto tempo sui set o nei festival che per fortuna stanno apprezzando i miei film. E così facendo perdo occasioni ed eventi importanti di amici e parenti. A volte perdo addirittura i Natali o i compleanni più importanti. Però loro lo sanno e capiscono. E io in fondo son contento così.
- Sogni e progetti per il futuro?
Spero che il film che ho girato “La perfezione” giri quanti più festival possibili. E che sia apprezzato da quante più persone possibile. Ci ho creduto molto e penso sia una bella favola natalizia con cui sognare e divertirsi. Faccio cose che vogliono spargere positività, le storie più oscure le lascio a chi è più bravo di me. E come ho detto, mi piacerebbe che i pianeti si allineassero nel modo giusto per il mio prossimo film.
- Quali gli impegni per l’avvenire?
Il 9 febbraio uscirà su Amazon Prime il mio nuovo film “La perfezione”. È una storia molto delicata e leggera, su una ragazza che cambia completamente le sue prospettive di vita per il futuro, da materialista diventa più empatica e sognatrice grazie a un incontro particolare. Penso sia un film che possa piacere molto. Poi uscirà il mio secondo romanzo per PAV Edizioni, si intitolerà “L’angolo delle parole desuete”. Infine sto scrivendo un altro film, che mi sembra promettente, ma lo farò solo con il cast che dico io e solo se i pianeti si allineano bene.
- C’è una persona a cui senti di dire grazie ed una a cui senti di dover dire scusa?
La faccio semplice. Sia grazie che scusa alla stessa persona. Alla protagonista del mio ultimo film, Martina Maria Monti. Grazie perché è stata bravissima e perché penso sia stata la prima attrice che mi ha assecondato in ogni richiesta e che quindi ha dato al personaggio tutto ciò che avevo immaginato, forse anche di più. Quindi se son soddisfatto del film, il 50% è grazie a lei. Scusa perché non sono una persona facile di carattere con cui avere a che fare, e ha lavorato con me in un momento in cui ero ancora meno facile. Non c’è un motivo per cui a volte ci comportiamo in modo sbagliato, né una giustificazione, a volte lo facciamo e basta. Ma se lavorassimo ancora insieme sarebbe per me un grande regalo.
- Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe partecipare a qualche grande produzione americana, come scrittore o regista piuttosto che come attore. Oppure mi piacerebbe che un mio film potesse accedere alle nomination finali dei David di Donatello. Mai dire mai.
“Mai dire mai” e noi te lo auguriamo, perché in te vediamo i sogni di quel bambino timido che, affascinato dal teatro e dal cinema, cresceva creando il più bel film: quello della sua vita.