-Lettera aperta alla redazione di Franco Iorio –
Tra smentite e conferme pare ormai certo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sarà un fallimento.
Il governo Meloni non ce la fa e lo stesso ministro Giorgetti parla “di riconsiderare i programmi, di ripassarli al setaccio ed eventualmente di riallocare le risorse…”.
Sta a vedere che qualcuno dirà l’Italia ha voluto prendere troppi soldi e ora non sa come spenderli utilmente. Allora tanto per non smentirci, andiamo subito a caccia del responsabile, perché ci sarà pur sempre un colpevole di turno. Sono tre i governi cui attribuire, magari equamente, le responsabilità: il Conte due, il governo Draghi, il governo Meloni. Il primo chiese il massimo dei fondi senza sapere come spenderli e, soprattutto, senza pensare come sostenere le spese della futura gestione degli investimenti. Il governo Draghi aveva la capacità e la possibilità di raddrizzare i piani ma non volle mischiarsi troppo con gli aspetti politici, visto l’ammucchiata dei partiti l’un contro l’altro armati. Il governo Meloni si è trastullato, un poco in preda all’ebbrezza del 25 settembre, e un poco privo di idee chiare e, dunque, incapace di rivedere i progetti del Piano. Pur sostenendo di voler utilizzare tutti i 191,5 miliardi assegnati (120 per prestiti e 71,5 a fondo perduto), previa revisione del Piano e il benestare di Bruxelles.
Dimenticando però la data del 31 agosto 2026 che indica la scadenza entro cui tutti i progetti del Pnrr dovranno essere realizzati. I nostri diligenti e attenti politici che ci ritroviamo pare abbiano dimenticato che entro quella data occorre centrare 525 obiettivi, 190 misure tra riforme e investimenti da mettere a terra, una rivoluzione verde e digitale da definire. Ma il ministro Fitto si lascia scappare parole che mettono i brividi: “Il Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti ci facciamo molto male”. Per soluzione, aggiunge: “Trasferiamo parte dei fondi per le opere pubbliche alle imprese”.
Se non sono di resa, queste parole ricordano “Il morbo infuria / il pan ci manca / sul ponte sventola / bandiera bianca”.
Qui interviene Matteo Salvini, il quale sfida Bruxelles e giura: “Spenderò fino all’ultimo euro del Pnrr”. Ci sarebbe da credergli se non fosse che oltre la metà dei 230 milioni destinati a realizzare sulle strade una rete di distributori per veicoli alimentati a idrogeno sono rimasti inutilizzati. E guarda caso, la colpa è tutta e unicamente sua quale ministro delle Infrastrutture. Lo dice senza mezzi termini la Corte dei Conti qualche giorno fa. I giudici contabili scrivono che la deplorevole situazione è ascrivibile a “gravi irregolarità gestionali”, tali da promuovere “l’adozione delle relative procedure previste dall’ordinamento” a carico dei responsabili.
Per capirci meglio il Pnrr prevedeva la costruzione di almeno 40 stazioni di rifornimento a idrogeno, con gara di appalto estesa alle imprese europee. E invece che fa Salvini o chi per lui? Limita la pubblicazione dell’avviso di gara solamente sulla Gazzetta Ufficiale e non su quella dell’Unione Europea. Così i concorrenti pare siano i soliti grandi gruppi: l’Eni, la Snam, l’Edisol, il Q8, l’Italgas e qualche concessionario autostradale. Gli impianti da noi al Sud sono appena 6, neanche uno in Campania, in Basilicata, nel Molise e in Sicilia. Questo è Matteo Salvini, ministro della Repubblica Italiana, vicepresidente di Giorgia Meloni.
Viene da chiedersi perché Giovanni Albanese non gli ha offerto un personaggio nel suo lungometraggio “Senza arte né parte”.
– Franco Iorio –