La Campania è una regione dove è quasi impossibile trovare uno spazio dove poter liberamente e gratuitamente sdraiarsi a prendere il sole.
È quanto racconta e denuncia Legambiente con il suo nuovo Rapporto Spiagge 2021 attraverso il quale scatta una fotografia aggiornata e dettagliata dei lidi italiani con dati e numeri alla mano facendo il punto anche su nodi irrisolti, questioni ambientali da affrontare ed esperienze green che arrivano da stabilimenti e amministrazioni che hanno deciso di puntare sulla sostenibilità ambientale.
In Campania complessivamente si può stimare che con le sole concessioni relative agli stabilimenti balneari, campeggi e complessi turistici oltre il 68% delle aree costiere sabbiose è sottratto alla libera e gratuita fruizione.
Ciò significa che solo il 32% del litorale della regione è “free”, quasi una spiaggia su tre. A pesare su ciò, in prima battuta, è l’aumento esponenziale in Campania delle concessioni balneari che nel 2021 arrivano a quota 1.125 registrando un incremento del +22,8%.
Complessivamente sono 4.772 le concessioni demaniali marittime di cui 1125 sono per stabilimenti balneari, 166 per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici, mentre le restanti concessioni sono distribuite su vari utilizzi.
Ma a pesare sulle poche spiagge campane è anche il problema dell’erosione costiera con la presenza di 85 km di tratti di litorale in erosione. E poi c’è la questione legata alle coste non balneabili: complessivamente lungo la Penisola il 7,7% dei tratti di coste sabbiose è di fatto interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento. Sicilia e Campania contano in totale circa 55 km su 87 km interdetti a livello nazionale.
“Le spiagge rappresentano una straordinaria risorsa del nostro Paese sia in chiave ambientale che turistica – dichiara Francesca Ferro, direttore Legambiente Campania – ma anche spazi vissuti da milioni di persone per diversi mesi all’anno. Un patrimonio ambientale e pubblico così straordinario deve essere gestito nella massima trasparenza tutelando il diritto a fruire delle spiagge. Oggi non è così, non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione, per cui assistiamo a una corsa alle nuove concessioni e a situazioni dove non esistono più spiagge libere. E’ necessario ragionare su come valorizzare queste straordinarie potenzialità e come affrontare i problemi trovando soluzioni innovative, come fanno già molti Paesi europei dove si è scelto di premiare le imprese locali che scommettono sulla qualità e al contempo garantire che una parte maggioritaria delle spiagge sia dedicata alla libera fruizione. Chiediamo alla politica e ai balneari di affrontare assieme finalmente le questioni delicate che interessano le coste campane come l’erosione, il diritto alle spiagge libere e la qualità dei servizi, la tutela della costa”.
In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione, tale scelta viene lasciata alle Regioni che il più delle volte optano per percentuali molto basse. Tra i casi legislativi virtuosi si trova la Puglia che da 15 anni, grazie alla Legge Regionale 17/2006 (la cosiddetta Legge Minervini) ha stabilito il principio del diritto di accesso al mare per tutti fissando una percentuale di spiagge libere pari al 60%, superiore rispetto a quelle da poter dare in concessione (40% ).
Di segnale opposto si comporta la Campania che ha imposto un limite minimo del 20% della linea di costa dedicato a spiagge libere.
A questi dati occorre aggiungere le spiagge in erosione. Tra le zone colpite spiccano Sapri, Casal Velino e Sessa Aurunca.
“Proprio rispetto a molti Comuni che già vedono livelli elevati di erosione costiera va ricordato l’appalto del cosiddetto Grande Progetto del Golfo di Salerno che prevede una artificializzazione di circa 40 km del litorale della piana del Sele – si legge nel Rapporto – Il progetto, del valore di 70 milioni di euro finanziato anche con fondi europei, prevede la messa in opera di 1,2 milioni di tonnellate di massi, tra pennelli e barriere, oltre che un primo intervento di ripascimento di circa 200.000 metri cubi di sabbia”.
“Quanto lascia più perplessi – denuncia Ferro di Legambiente – è che nel suo insieme questa opera trascura un approccio sistemico per risolvere il problema dell’erosione agendo sulle cause e disattende gli indirizzi europei in materia di salvaguardia degli ambienti naturali”.