Quasi 374mila edifici in Campania (per la precisione 373.813) sorgono in zone a rischio idrogeologico per frana o allagamenti. È il dato, allarmante, che emerge dagli ultimi rilevamenti dell’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Il pericolo investe oltre un milione e 300mila cittadini (1.309.103) dei quali oltre 440mila in zone classificate addirittura a rischio “molto elevato” o “elevato”.
“Sono dati allarmanti – dichiara il presidente nazionale di FederCepi Costruzioni, Antonio Lombardi – e che non possono essere riproposti solo in occasione di drammi e sciagure. In Campania occorre un piano straordinario per la messa in sicurezza del territorio, che comprenda non solo il consolidamento e il riassetto idrogeologico, ma anche la liberazione degli edifici che insistono in aree a rischio. Ci vuole coraggio: promuoviamo un programma straordinario di rottamazione che consenta, a chi vive nelle zone ad elevato rischio, di ‘rottamare’ gli edifici per realizzarne di nuovi in zone sicure”.
È stato dimostrato che, per ogni euro investito nella prevenzione delle alluvioni, se ne risparmiano circa sei, necessari per la riparazione dei danni conseguenti alla mancata prevenzione. Occorre quindi, secondo Lombardi, trovare il coraggio per uscire da questo circolo vizioso per cui non si investe sulla prevenzione, non si interviene per la messa in sicurezza del territorio, ma “si pagano poi somme sei volte superiori per rimediare ai danni dei disastri naturali. Col cambiamento climatico i rischi aumentano. Occorre agire e subito”.
La situazione purtroppo peggiora di anno in anno, ed esondazioni, frane e smottamenti sono purtroppo sempre più all’ordine del giorno. “Non sempre è colpa dei cambiamenti climatici – commenta il presidente di FederCepi Costruzioni -, trascuratezza e inefficienza della classe politica hanno una pesante incidenza, così come l’aggressione selvaggia del territorio e l’abusivismo. Oggi occorrono terapie d’urto per mettere in sicurezza il territorio, laddove possibile, ma è urgente anche liberare le aree più esposte, per evitare danni ingenti e, soprattutto, perdite di vite umane. Occorre immaginare e realizzare un piano per la ‘rottamazione’ degli edifici che insistono sulle aree a pericolosità più elevata. Occorre coinvolgere anche il sistema bancario, con programmi di finanziamento specifici e competitivi, e forme di premialità fiscale che arrivino fino all’esenzione totale dei tributi per cinque o dieci anni, per quanti decideranno di abbandonare le zone rosse. Occorre liberare le zone pericolose e mettere città e paesi in sicurezza: non può e non deve essere un problema di costi e finanziamenti. Rimediare ai danni legati al dissesto idrogeologico costa al nostro Paese, in media, quasi un miliardo l’anno: rimanere inefficienti, quindi, ha un costo sensibilmente superiore, senza considerare il ‘costo’ sociale in termini di vite umane, dell’inefficienza, dei ritardi e della mancata messa in sicurezza“.
– Paola Federico –