Intervista al Vescovo della Diocesi di Teggiano-Policastro, Padre Antonio De Luca, in merito all’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus e al ruolo della Chiesa nella Fase 2.
- Eccellenza, lei è stato tra i firmatari di “Una Lettera dopo la tempesta”, un’iniziativa partita da alcuni docenti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e di esponenti del mondo culturale italiano. Da dove nasce questo impegno?
L’obiettivo della “Lettera nella tempesta” è stato quello di aprire uno spazio di riflessione e di confronto sulle questioni scoperte da questa improvvisa “tempesta” che ci lega alla pandemia, che ci trova “sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati” e, allo stesso tempo, proporre “le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e a custodire”, in questo naufragio e alla fine della “tempesta”. Siamo in molti, infatti, a ritenere che nulla sarà come prima e che nella fase di programmazione della ripresa le risposte all’emergenza necessitino di una ricerca comune e di un impegno unitario, con la consapevolezza che l’attuale crisi globale richieda una modalità globale di affrontare le cause dell’ingiustizia, a sostegno soprattutto di coloro che sono più esposti agli svantaggi che la globalizzazione dell’economia può produrre: gli ammalati, i carcerati, i poveri, i forestieri, gli anziani, i giovani.
- Come intende, la Chiesa, uscire da questa emergenza?
Per dirla come Papa Francesco, per uscire dall’emergenza della pandemia da Covid-19 vogliamo percorrere la via della speranza insieme a tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, laici e religiosi di ogni popolo, religione e di ogni confessione, che voltano le spalle alla morte e aprono il cuore alla vita: nella difesa della giustizia e nella promozione della pace, nell’amore premuroso per la casa comune del creato, nell’accoglienza rispettosa di chi è profugo e di chi è diverso, nell’assistenza gratuita al malato, nella difesa coraggiosa di chi è discriminato, nel sostegno solidale al bisognoso, nell’educazione e nell’accompagnamento dei giovani e di chi dalla mancanza di speranza è come immobilizzato.
- Una risposta a chi, anche all’interno della stessa Chiesa, si limita soltanto a chiedere “chiese aperte”?
La Chiesa responsabile accoglie le indicazioni di Papa Francesco. Il sottile sospetto, anche giornalisticamente sostenuto, è che dietro la rivendicazione “Chiese aperte” si potrebbe celare una pericolosa idolatria e, peggio, una illusione che non fa bene alla Chiesa. Il Papa ci invita a considerare il principio del “tempo superiore allo spazio”. Dobbiamo smetterla di essere idolatri dall’occupare spazi. Non è questo il nostro compito.
- Chiara la sua posizione nei confronti di quel famoso documento della Cei contro la decisione del governo che si oppone all’apertura delle Chiese.
Papa Francesco è stato chiaro, invitandoci a stare attenti al fatto che il tempo lo occupano i profeti, gli spazi li occupano i tiranni, invitandoci alla obbedienza, alla prudenza ed al rispetto delle leggi. Penso che i toni aspri e le posizioni rivendicative non si addicono alla chiesa del grembiule se non per lottare a favore dei poveri della giustizia e della verità. La saccenza viene confusa con richieste di privilegio. La Chiesa non vuole ciò.
- Nella Diocesi di Teggiano-Policastro come si vive il disagio della mancanza di celebrazioni?
Con molta sofferenza e difficoltà. Non mancano le richieste di affrettare i percorsi per ritornare alla celebrazione domenicale. Ma tutto dipende dell’imminente accordo con le istituzioni civili. Naturalmente la consapevolezza della gravità del momento ha anche ispirato atteggiamenti rispettosi e prudenti. I parroci hanno manifestato una creativa vicinanza con i moderni mezzi di comunicazione. Questa è anche la stagione per ripensare la pastorale e innescare nuovi processi.
- Processi che questa pandemia ha portato bruscamente in superficie.
Certamente! In questo momento abbiamo una situazione sulla quale è caduto un silenzio assordante. 25 milioni di famiglie che stentano ad affrontare non solo il domani ma l’oggi, il presente. I lavoratori che restano in attesa del sospirato sostegno governativo. E che dire poi delle 3500 persone giunte sulle nostre coste dall’inizio dell’anno; c’è bisogno di 18.000 braccianti per sollevare la nostra economia e il lavoro nero continua ad essere una piaga sociale che non fa bene alla condizione umana. La filiera agroalimentare ha bisogno di queste persone. Possiamo continuare a tacere che 1600 persone hanno perso la vita sfruttati da altri essere umani? Abbiamo davvero il diritto di dividere le persone tra chi ha le carte a posto e chi le carte a posto non ce l’ha? Possiamo continuare a pensare che ci possano essere persone di serie a e di serie b? C’è una parte politica che sfrutta questa visione riduttiva del mondo, da cui gli uomini di buona volontà non possono sentirsi attratti. Gli immigrati non sono figli di un dio minore. Gesù ha voluto farsi riconoscere nella condivisione del pane eucaristico, ma ha richiesto di essere accolto anche nel riscatto degli abbandonati, nella lotta sociale, nell’aiuto agli infermi ed ai poveri.
- E a chi in questi giorni le ha anche chiesto di portare in giro solitarie statue di immagini sacre?
Con alcuni vescovi e con la collaborazione di sacerdoti, abbiamo disposto la sospensione di idee peregrine di manifestazioni religiose senza il concorso della comunità che prega, canta, gioisce e si rallegra di professare la fede. E’ suggestivo il ricordo delle cosiddette cinte. Questa è la vera processione cristiana. Allora non è consentito ricorrere a ritrovati folkloristici che smentiscono l’autentica profondità della pietà popolare. Nella comunità itinerante accompagnata dal simulacro di una statua sacra vi può essere una mistica oltranzista o addirittura oscurata se non partecipa la comunità.
– Rocco Colombo –