La Presidente della Sezione III del Tar Campania, la dottoressa Anna Pappalardo, ha respinto l’istanza di revoca del decreto cautelare urgente del 30 dicembre proposta dalla Regione Campania confermando la sospensione della deliberazione della Giunta regionale del 29 dicembre scorso con la quale era stata prorogata di un mese la stagione venatoria al cinghiale e di un giorno a molte altre specie selvatiche.
Il provvedimento giudiziario è molto importante in quanto liquida il tentativo della Giunta regionale di far apparire la proroga della caccia al cinghiale come una forma di contrasto alla proliferazione precisando che il prolungamento di un mese della caccia al cinghiale “non appare direttamente riferibile agli scopi e funzioni dell’attività venatoria, dovendosi fare riferimento per il conseguimento di tali peculiari obiettivi a misure dissuasive o repressive affidate alla strategia di contrasto selettivo tramite strutture pubbliche”.
In sintesi, la caccia non è una tecnica per contrastare l’eccessiva presenza di cinghiali, la specie va controllata non con il piombo dei cacciatori ma con interventi pubblici.
Del resto, tanto prevede la legge statale sulla protezione della fauna selvatica che affida gli interventi di controllo delle specie esclusivamente agli agenti pubblici.
“E’ molto grave che la Giunta regionale abbia approfittato persino del Covid-19 – spiega la delegazione campana del WWF – per consentire ai cacciatori di continuare a sparare. È ancora più grave che la Regione abbia chiesto la revoca della sospensione della deliberazione lo stesso giorno in cui l’assessore Caputo aveva convocato le associazioni ambientaliste assicurandole di voler affrontare il problema dello squilibrio ecologico causato dai cinghiali secondo criteri scientifici e nel rispetto della legge e comunque aprendo un tavolo di confronto con tutte le parti. Confronto farsa verrebbe da pensare dato che gli uffici regionali hanno inviato la richiesta di revoca quasi in nottata al pari di un’emergenza straordinaria o di un evento calamitoso che richiedeva un immediato intervento della Regione. La scienza ci dice che l’aumento della pressione venatoria sui cinghiali ne aumenta il numero in quanto l’abbattimento delle femmine dominanti causa la frammentazione del branco e comporta l’aumento di femmine fertili”.
Il WWF chiede che l’Amministrazione Regionale la smetta di “assecondare la lobby venatoria” e denuncia i gravi pericoli sanitari derivanti dalla circolazione e dal consumo di carne proveniente da cinghiali selvatici in relazione alla possibile diffusione di peste suina e della trinchinellosi.
“Evidentemente il governo regionale non ha ancora compreso la gravissima lezione del Covid che deve indurci a ripensare il rapporto tra uomo ed animali selvatici – denuncia il WWF – L’Amministrazione regionale, inoltre, dovrebbe chiarire dove finiscono le carcasse e le parti di carne non consumate provenienti dagli animali abbattuti e se le stesse sono smaltite in conformità alle norme in materia di rifiuti. L’associazione fa presente che l’eventuale controllo della popolazione di cinghiale mediante prelievi, qualora proprio dovesse essere necessaria, venga effettuata esclusivamente da agenti pubblici e che la carne venga controllata dai servizi veterinari prima di essere venduta dall’ amministrazione con reimpiego delle risorse economiche introitate per il pagamento dei danni agli agricoltori”.
“I cinghiali appartengono, come tutta la fauna, al patrimonio indisponibile dello Stato – aggiunge l’associazione – e di loro non possono invece appropriarsi gratuitamente pochi cacciatori ricavandone valore economico anche decine di volte maggiore delle tasse di concessione versate all’erario”.
“La Regione e alcuni Enti Parco regionali – conclude – stanno, quindi, sprecando risorse economiche collettive senza risolvere alcun problema ambientale, nell’esclusivo interesse dei pochi cacciatori che si dedicano alla caccia al cinghiale, mettendo in pericolo la salute e l’ambiente”.
– Claudia Monaco –
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