I lockdown che si sono susseguiti a causa della pandemia in corso hanno messo in ginocchio una serie di settori professionali. Tra questi anche il Teatro e tutto il mondo che orbita intorno agli spettacoli dal vivo. L’esigenza di distanziare le persone per evitare il contagio da Coronavirus ha imposto uno stop a esibizioni, rappresentazioni teatrali, concerti ma anche proiezioni cinematografiche mettendo a dura prova i tanti professionisti che lavorano in questo contesto. Abbiamo raccolto il punto di vista di Enzo D’Arco, attore teatrale e regista di Sala Consilina, che negli anni ha dato un importante contributo al tessuto socio-culturale del Vallo di Diano e non solo.
- Il Teatro e il mondo dello spettacolo dal vivo in generale sono le categorie che più di altre hanno subito gli effetti dei vari lockdown. Quali sono, attualmente, le “condizioni di salute” di questo settore?
Il Teatro, essendo la più antica e sacra forma di “assembramento”, pare una delle vittime sacrificali del Covid-19. Però è strano perché i teatri sono spazi della meditazione civile: sarebbe utilissimo tenerli a porte spalancate. Tant’è che un esempio perfetto di “distanziamento fisico” che evita il “distanziamento sociale” sono i palchetti degli antichi teatri all’italiana. In ogni caso i mali del Teatro erano già presenti e la pandemia non ha fatto altro che evidenziare, in maniera ancora più drammatica, la fragilità economica del settore. Il lavoro culturale, nella sua interezza, è spesso precario. E se nei ruoli gestionali ed amministrativi la società pare riconoscere delle professionalità, con enorme difficoltà invece la figura dell’artista viene riconosciuta come quella di lavoratore, ed in primo luogo dagli organi di potere. Nel corso delle fasi 1 e 2, attori, registi, artisti e maestranze in genere hanno manifestato nelle piazze, scritto proclami e lettere aperte a Governo, Direttori dei teatri e grandi Fondazioni rivendicando voce in capitolo sulle politiche economiche dell’emergenza. Tuttavia, pur essendo duramente colpito dal lockdown, il settore dello spettacolo è stato l’ultimo ad essere considerato nel pacchetto di aiuti e forse l’unico che non è riuscito a ristorare la gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo dal vivo. Se queste possono essere le considerazioni, oggettivamente negative, che riguardano l’atteggiamento del mondo esterno nei confronti del settore, purtroppo anche quelle interne al settore sono poco incoraggianti ed anche in questo caso già prima della pandemia. Dai primi giorni di isolamento è maturata una discussione che non si vedeva da tantissimi anni. Le piattaforme digitali sono state luogo di confronti che hanno fatto affiorare soprattutto la sperequazione economica interna all’ambiente teatrale. Mali arcaici che forse sono corresponsabili anche della scarsa considerazione esterna. Durante la “reclusione” è come se una generazione di giovani artisti avesse preso coscienza di due fatti. Primo: i funzionari amministrativi ed organizzativi delle istituzioni sono garantiti da contratti a tempo indeterminato e gli artisti no. Secondo: la sproporzione tra le paghe di artisti che lavorano spesso fianco a fianco è grande ed ingiustificata di fronte al mercato. Contraddizioni evidenti da tempo, ma che solo in questo periodo sono emerse alla consapevolezza di attori, scrittori e registi. Insomma, c’è tanto da fare fuori e dentro il “mondo Teatro”.
- È possibile “ripensare il Teatro” e dunque prevedere forme di spettacolo alternative a quelle con la presenza fisica del pubblico? Possono mai compensare, emotivamente ed economicamente, l’assenza di uno spettacolo in presenza?
I Teatri sono stati i primi luoghi pubblici a chiudere e gli ultimi a riaprire nella prima fase, così come nella seconda fase che continuerà di gettata fino alla conclusione della terza fase che coinciderà, verosimilmente, con l’inizio dell’estate 2021. Certo, non è la prima volta che il Teatro si ferma causa epidemia. Ad esempio Shakespeare si era ritrovato a scrivere alcuni dei suoi capolavori in quarantena, come conseguenza della peste che colpì Londra tra XVI e XVII secolo e all’epoca dev’essere stato davvero difficile comunicare. Invece oggi abbiamo Zoom, Skype, Google Meet e quant’altro. In realtà queste piattaforme erano disponibili già da alcuni anni, ma adesso siamo stati costretti, imparando rapidamente, ad usarle. Tutti sappiamo che il Teatro avviene in tempo reale. Questa è la sua forza. Unica ed imprescindibile. Sempre. Chi parla e chi ascolta sono presenti nello stesso tempo e nello stesso luogo. La presenza è importante perché chi parla può ascoltare chi lo ascolta. Chi agisce può vedere chi lo guarda. Il Teatro è contemporaneamente guardare ed essere guardati, e questo vale sia per l’attore che per lo spettatore: nei teatri all’italiana anche gli spettatori stanno nei palchetti. E questa unicità non potrà mai mutare neanche quando avremo strumenti che ci permetteranno di toccare e guidare gli attori che guarderemo su qualunque “supporto” digitale o ologramma. Perché il Teatro è reciprocità, riconoscimento dell’alterità nell’uguaglianza. È presenza per la relazione, ed è dalla relazione che nasce la comprensione dell’altro, e dalla comprensione, le comunità. È un territorio in cui etica ed estetica possono incontrarsi più facilmente che altrove. Allo stesso tempo il Teatro deve avere l’intelligenza di comprendere che sono passati 2500 anni dalla sua nascita e molto è cambiato nel mondo, nella società. Allora, se le nuove tecnologie possono darci una mano, ben vengano, consapevoli di non abusarne e diventare altro. La televisione già cinquant’anni fa ha trasmesso Teatro mutando quell’incontro essenziale tra attore e spettatore. L’ha fatto per veicolare l’Arte teatrale ad una platea più ampia e far in modo di avvicinare quante più persone possibili. La televisione, come il web, non possono mai compensare, emotivamente ed economicamente, l’assenza di uno spettacolo in presenza, ma possono almeno ristorare mente e corpo, in un periodo così brutalmente lungo di distanziamento fisico.
- Quali sono stati, a suo avviso, gli errori commessi dal Governo nell’elaborazione di queste restrizioni?
Premetto che viviamo un particolare periodo storico, e già da qualche anno, in cui la politica è decisamente mediocre. Da destra a sinistra. Passando per il centro e mentre le stelle stanno a guardare. A livello nazionale così come in ambito territoriale. Detto questo ed aggiungendo che la pandemia è stata una novità per tutti e quindi offre giustificazioni, allo stesso tempo, ed in particolare per la cosiddetta seconda fase, i ritardi, le dimenticanze, le superficialità, gli slanci autonomi, le sovrapposizioni, i silenzi, come le troppe chiacchiere sono state uno spettacolo pessimo che avremmo preferito non vedere e che portano in dote, purtroppo, morti e crisi sociale ed economica. Quando chi governa, ma anche le opposizioni con i loro “giochetti” opportunistici, non ascoltano la base dei vari settori lavorativi, e quindi anche quello teatrale, non si potrà mai risolvere nessun problema. Solitamente si fa al contrario, ma permettetemi di fare un esempio territoriale che può valere, con le dovute proporzioni, anche a livello nazionale. Se in un territorio di provincia si aprono Teatri senza che la politica si interfacci con chi vive di questo. Senza coinvolgimento. Senza mettere al primo posto gli artisti di casa anche se si sceglie di far gestire i Teatri a soggetti esterni, ma facendoli incontrare, gli uni e gli altri, per interagire. Senza competenze specifiche si sceglie addirittura di gestirli in prima persona. Si può comprendere benissimo come tutto questo possa servire a poco se non addirittura a niente. Ecco, questo è accaduto anche in tempo di pandemia. Anche a livello nazionale. Quando il Governo, il Ministero piuttosto che il Ministro, così come le opposizioni, hanno dato ascolto al 5% della categoria teatrale, i soliti noti, quelli che non conoscono e non vivono i veri problemi del 95% dei lavoratori e lavoratrici dello spettacolo dal vivo. Chi lavora nei territori. Chi apre spazi di socializzazione. Chi fa formazione. Chi lavora con il Teatro nel sociale, come carceri ecc. Chi prova a dare opportunità sane di confronto e crescita ai giovani. Chi, come La Cantina delle Arti e tante altre realtà simili in tutta Italia, con le proprie forze prova a fare quello che spesso dovrebbe fare la politica, ovvero, come dicevo prima, far incontrare più facilmente etica ed estetica per migliorare la vita di tutti. Ed a mio avviso, nei piccoli centri come i nostri, questo vale 100 volte di più.
- Come vede il futuro prossimo del Teatro in Italia?
Mi prendo il privilegio di chiudere sinteticamente e ottimisticamente. Il Teatro saprà ancora una volta rialzarsi. Saprà ancora una volta indicare la strada. Saprà più di prima arrivare alle coscienze degli uomini e delle donne. Saprà essere rivoluzione pacifica. Saprà “costringere” le persone cattive, squallide, mediocri, ed incompetenti a scegliere tra la possibilità di cambiare la propria vita oppure farsi da parte. Saprà essere speranza ed opportunità. Perché “il Teatro è un gioco che va fatto sul serio”. Ecco, basterebbe attuare questo concetto nella vita di tutti i giorni, a tutti i livelli… ed il “gioco” è fatto!!
– Chiara Di Miele –