Provare ogni volta l’emozione di avere tra le mani il cuore e la vita di un essere umano. Si riassume in questo concetto la carriera del dottor Raffaele Scaffa, brillante cardiochirurgo con origini di Teggiano e che oggi, dopo un percorso di studi ricco di traguardi, lavora presso lo European Hospital di Roma nella UOC di Cardiochirurgia diretta dal Prof. Ruggero De Paulis, ritenuto uno dei migliori cardiochirurghi al mondo, che dirige la cattedra di Cardiochirurgia presso l’Università Unicamillus di Roma ed è stato presidente della Società Europea di Cardiochirurgia (EACTS) nel 2018/2019.
Il dottor Scaffa, dopo aver studiato al Liceo Scientifico di Padula e conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgia alla Seconda Università degli Studi di Napoli, si è specializzato all’Università Tor Vergata di Roma nel 2004. Dopo una parentesi all’ospedale “Ruggi” di Salerno, è ritornato a Roma ed è entrato a far parte dello staff medico dello European Hospital. Di recente, inoltre, ha tenuto una lezione sulla dissecazione aortica nel corso di un convegno organizzato dalla prestigiosa Società Romana di Chirurgia.
Il brillante professionista con origini valdianesi è anche abilitato come Professore universitario di seconda fascia per il settore di Chirurgia Cardio-Toraco-Vascolare.
- Dottor Scaffa, di cosa si occupa di preciso nella Clinica romana in cui lavora?
Io e il mio gruppo, insieme al Prof. De Paulis, siamo specializzati nella chirurgia dell’aorta. Non solo dissecazioni ma anche patologie non urgenti dell’aorta. Il Prof. De Paulis ha ideato e brevettato una protesi unica al mondo per trattare la patologia aortica, che noi impiantiamo regolarmente quando ce n’è bisogno. Io sono il co-autore della maggior parte delle pubblicazioni scientifiche su questo argomento che il mio gruppo ha realizzato. Ho pubblicato, come autore e come co-autore, su riviste censite oltre 60 articoli a partire dal 2000, il primo riguarda proprio questa nuova protesi che si chiama Valsalva graft. Questi articoli attualmente hanno più di 1650 citazioni in riviste di settore di tutto il mondo. La maggior parte delle pubblicazioni vertono sulla riparazione della valvola aortica, ma gli altri miei campi di interesse sono sul by-pass coronarico, sulla plastica valvolare mitralica e sulle mediastiniti, una complicanza dell’intervento al cuore su cui io e il mio gruppo abbiamo particolare esperienza.
- Come giudica l’attuale condizione della Cardiochirurgia italiana?
La Cardiochirurgia italiana è un’eccellenza, così come quella europea. Negli anni ’60 e ’70 esistevano ancora i viaggi della speranza e per operarsi al cuore si andava negli USA. Ma negli ultimi 30 anni la Cardiochirurgia europea è riconosciuta in tutto il mondo. In Europa si lavora bene in Germania, Francia, Inghilterra e Spagna; l’Italia è sicuramente nelle prime tre posizioni, riconosciuta all’interno della Comunità europea.
- Qual è il paziente tipo che si presenta a chiederle di intervenire? Che stile di vita conduce?
Il core della nostra attività è relativo alla cura della cardiopatia ischemica, che rappresenta ancora una delle maggiori cause di morte. Operiamo molti pazienti di by-pass coronarico perchè affetti da cardiopatia ischemica dovuta a fattori genetici ma anche a stili di vita come il fumo, il diabete, l’ipertensione e la sedentarietà. Quest’ultima è assolutamente un fattore di rischio di malattie cardiovascolari, insieme all’alimentazione e al vizio di fumare. Dopo l’intervento cardiochirurgico chi opta per una modifica dello stile di vita, supportato dalla terapia farmacologica di nuova generazione, pone un freno all’avanzare dell’arteriosclerosi. Se modifichiamo i fattori di rischio (innegabile affermare che la Dieta Mediterranea è un farmaco) e utilizziamo i farmaci ad hoc avremo un rallentamento e una stabilizzazione del processo di invecchiamento delle arterie.
- Qual è, invece, l’incidenza relativa alla fascia di età e al sesso di appartenenza?
La cardiopatia ischemica è molto più presente nelle donne in età post menopausa e se sono fumatrici. Se gli uomini vengono colpiti nella fascia di età intorno ai 50 anni allora ciò significa che hanno inciso i fattori di rischio esterni collegati allo stile di vita. Ma la maggior parte dei pazienti che io tratto è relativamente giovane, perchè affetta da patologie delle valvole cardiache, che non risentono dello stile di vita ma dipendono da malformazioni congenite. Ad esempio, il noto “soffio al cuore”, cioè il prolasso della valvola mitralica, riguarda una piccolissima malformazione della valvola che in molti casi porta alcuni pazienti ad avere problemi anche prima dei 50 anni e rende necessario un intervento riparatore e non di sostituzione della valvola. Noi siamo molto esperti nel riparare la valvola aortica e quella mitralica.
- Quale intervento cardiochirurgico ricorda con maggiore emozione?
In assoluto il mio primo intervento di dissecazione aortica. Ricordo l’emozione nel momento della chiamata a casa, perchè ero reperibile. Quella notte di San Valentino corsi in clinica in scooter e ricordo i pensieri che affollavano la mia mente durante il viaggio. Immaginavo il tipo di intervento che avrei dovuto affrontare e l’epilogo fu positivo. Riuscii a concludere l’intervento, salvando la valvola aortica oltre a sostituire l’aorta dissecata. Questo paziente è rimasto così profondamente legato a me tanto che siamo diventati amici e mi ha accompagnato il giorno del mio matrimonio con le sue auto a noleggio al Campidoglio. Io tengo particolarmente ai miei pazienti, con loro instauro un rapporto che supera quello tra medico e paziente. Alcuni sono diventati amici di famiglia, vengono anche in vacanza a Teggiano e io gli faccio scoprire le bellezze della nostra terra, le Grotte di Pertosa, la Certosa di Padula.
- Quali sono i valori di Teggiano che hai portato con lei a Roma?
Mio padre è salernitano e mia madre è teggianese, quindi io ho portato con me tanto della mia “salernitanità”. All’inizio il mio essere campano e salernitano non rappresentava per me un plus, ma negli anni è diventato un tratto distintivo e sono orgoglioso del mio essere teggianese. Per me è un motivo assoluto di vanto. Ai pazienti che sentono il mio accento diverso da quello romano io dico “Non sono napoletano, ma salernitano e in particolare di Teggiano, con una storia millenaria e importante, piena di chiese e di bellezze, collocata in una zona altrettanto bella sia dal punto di vista paesaggistico che artistico”. Noi che veniamo dalla provincia dobbiamo dimostrare sempre di essere particolarmente più appassionati e di avere quella marcia in più che ci appartiene e che la maggioranza delle persone ci conferma. Mi dispiace soltanto riscontrare che nel mio paese “nessuno è profeta in patria”, perchè spesso si fa molta fatica ad affermarsi lì. Io stesso a volte ho avvertito un certo ostracismo, eppure mi farebbe davvero piacere poter aiutare un compaesano che avesse bisogno di un supporto o di un consiglio medico.
- Cosa prova ad avere tra le mani il cuore e la vita di un essere umano?
Noi cardiochirurghi siamo visti come dei marines della Chirurgia. C’è una componente altamente emotiva intorno all’intervento al cuore, proprio perchè si tocca un organo storicamente collegato alle emozioni. Si vivono sensazioni particolari che non esistono in altri interventi, a prescindere dalle paure. Come medico ho il compito e il dovere di occuparmi dell’aspetto tecnico, ma soprattutto mi faccio carico dell’aspetto emotivo del paziente e della famiglia. Questo è molto pesante, il mio gruppo fa quasi 1000 interventi all’anno e ognuno di noi ne fa circa 100 all’anno. Fisicamente e psicologicamente è molto faticoso prendersi carico di questo aspetto. Ma penso sempre che se uno dei miei pazienti fosse un mio compaesano o un salernitano io vivrei delle emozioni particolari e sapere che nelle mie mani c’è la sua vita da salvare mi renderebbe orgoglioso. Non sentirei la fatica di dedicarmi completamente a lui.