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Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa libera il campo di concentramento nazista di Auschwitz.
Ogni anno in questa data (a partire dal 2000 in Italia e dal 2005 a livello mondiale) si celebra il “Giorno della Memoria” per non dimenticare cosa sia stata la Shoah e le vittime che produsse: il dovere della memoria, dunque, del ricordo che affonda le sue radici nel passato e che guarda al futuro.
Tantissimi sono stati i cittadini salernitani vittime della follia nazifascista, deportati e costretti nei campi di prigionia. Tra questi ci furono anche Cono D’Onza e Nunzio Carrano, giovani soldati di Teggiano, la cui testimonianza è riportata dai loro cari, a dimostrazione di come anche i piccoli territori abbiano contribuito a disegnare la storia.
Cono D’Onza nacque il 2 febbraio 1916 a Teggiano. Arruolatosi da carabiniere nel corso della Seconda Guerra Mondiale, fu fatto prigioniero il 10 settembre 1943, nel corso della campagna di Grecia, da parte delle truppe tedesche e trasferito nello Stalag III B, un campo di lavoro situato nell’attuale città di Eisenhüttenstadt, in Germania.
Cono, dunque, è tra gli italiani disarmati dai tedeschi e inviati in prigionia, dopo l’Armistizio dell’8 settembre. A raccontare la sua storia è la nipote Teresa Cotignola: “Nonno voleva dimenticare questo capitolo della sua vita– le sue parole – parlava poco dell’esperienza avuta durante la guerra e la prigionia. ‘Meglio che non se ne parli, non avete idea di cosa ho visto’ diceva sempre. Ero una ragazzina quando accadde il colpo di Stato in Libia da parte di Gheddafi: ricordo che nonno era stravolto, molto preoccupato e diceva continuamente ‘Non immaginate un pazzo al potere cosa è capace di fare, è già successo!’. Continuava a dire che era necessario ucciderlo. Aveva paura, la sua esistenza è stata caratterizzata da quel periodo della sua vita: negli ultimi tempi della sua vita aveva gli incubi notturni, pensava ci fossero i bombardamenti e cercava di ripararsi”.
Pochi, frammentati episodi, dunque, quelli raccontati da Cono che evidenziano tuttavia la tragicità di quanto vissuto.
“Prima di sedersi a tavola – racconta ancora Teresa – chiedeva sempre se i bambini avessero mangiato. Non si sedeva se non appurava che i piccoli di casa avevano mangiato, poi mangiavamo noi. Raccontava di aver sofferto la fame. Un episodio è rimasto impresso nella sua memoria, tra i pochi che ha raccontato: un giorno si trovava in giro con altri commilitoni, avevano un misero pezzo di pane quando una donna e suo figlio si avvicinarono. La poverina chiese quel pane per lei e suo figlio, disposta anche a prostituirsi. La fame purtroppo era tanta e loro rifiutarono. Girandosi nonno vide la sventurata gettarsi da un ponte con il bambino. Da qui, credo, il profondo attaccamento a far mangiare i bambini prima, nonostante in casa nostra non sia mai mancato cibo. Un’altra cosa a cui nonno teneva era lo studio. È stato rigido in questo senso. Aveva solo la 1^ e la 2^ elementare, arruolato come carabiniere prese la 5^ elementare serale. Sapeva leggere e scrivere e questo, raccontava sempre, gli aveva permesso di essere agevolato durante la prigionia. Non tutti sapevano leggere e scrivere e questo comportava che spesso era utile. E a chi gli chiedeva se avesse mai sparato, diceva sempre che lì erano tutti dei disperati e se sparavi era per costrizione ma mai perché mossi da qualche spirito patriottico”.
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Altra storia è quella di Nunzio Carrano, nato a Teggiano il 3 agosto 1921, primo figlio di Vincenzo Carrano e Giovanna Mea. Fu chiamato alle armi il 21 gennaio 1941 nella 9^ Compagnia della Sanità dell’Albania. Il 10 ottobre 1942 s’imbarcò a Bari per la Grecia, nella nota campagna di guerra voluta da Mussolini, e prestò servizio in un ospedale. Dopo una licenza nel ’42, venne richiamato subito e costretto a tornare, rimanendo prigioniero dei tedeschi. Nunzio aveva anche un fratello più piccolo, un finanziere che fu catturato a Bergamo dai nazisti mentre era in abiti civili: fu salvato perché nelle sue tasche fu ritrovata una sua foto in divisa e rilasciato.
È sua figlia Giovanna Carrano a consegnarci la testimonianza: “Papà finì a Oldemburg, messo ai lavori in una fattoria tedesca di proprietà di una donna e di sua figlia, Ingrid si chiamava quest’ultima. Raccontava sempre, tuttavia, che era stato trattato bene da loro e si reputava fortunato rispetto a tanti amici suoi che non ce l’avevano fatta. In seguito fu messo in una stazione ferroviaria a controllare i pacchi e qui raccontava che spesso con gli altri apriva qualche pacco, spinto dalla fame e dalla necessità, e recuperava un poco di cibo. Il cibo più ‘succulento’ e atteso erano le bucce delle patate”.
La parte emozionante per l’intera famiglia rimane il ritorno di Nunzio: “Per la nostra famiglia il 16 settembre 1945, giorno della Festa del Crocifisso di Brienza, è una data che è rimasta impressa – ci dice Giovanna – papà dopo la fine del conflitto ritornò con i passaggi dalla Germania. Quel giorno il mio zio finanziere doveva partire poiché aveva finito la licenza. Ad Atena Lucana, nel frattempo, era arrivato papà e fu riconosciuto da una persona di Teggiano mentre si lavava nel fiume per rinfrescarsi. Questo conoscente intercettò mio nonno dicendogli di dover correre immediatamente ad Atena perché Nunzio era lì. Da sottolineare che non c’era stata corrispondenza epistolare con la famiglia, si sapeva che era vivo grazie a qualche informazione raccolta da zio. Nonno immediatamente recuperò un carretto e corse a prendere papà. Furono giorni di festa, zio non partì e l’emozione fu tanta”.
Entrambi i soldati teggianesi sono stati insigniti nel 2023 della medaglia d’onore a Campagna nel corso di una emozionante cerimonia alla presenza del Prefetto di Salerno.
“E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”
(Primo Levi – I sommersi e i salvati)