Una mostrina di metallo con impresso un numero, 40008, un nome, Villigen, Baden-Wuttemberg, ad una cinquantina di km dal confine svizzero. Il numero romano V ad indicare che lo stalag dipendeva dalla regione militare numero 5, Sud-Ovest della Germania, ma soprattutto un memoriale di quasi due anni di prigionia (dal settembre del 1943 al maggio del 1945). È la testimonianza di quanto vissuto nei campi di prigionia nazisti da Eduardo Limongi di Sapri (1912-2004), educatore, musicista, compositore, direttore e fondatore di numerosi complessi bandistici. A raccontarci la storia del Maestro Limongi è suo figlio Biagino, già insegnante elementare, Direttore didattico, Presidente del Distretto Scolastico di Sapri e membro del Consiglio scolastico provinciale.
“Dopo aver fondato la banda ‘Giacomo Puccini’ di Maratea, mio padre venne richiamato alle armi per la Seconda Guerra Mondiale – racconta -. Quando tornò a casa portò con sé un memoriale della prigionia assieme ad una mostrina di metallo dov’era impresso il numero con cui fu introdotto nel lager. In questi campi di prigionia la vita fu gravata d’inedie e lui rientrò con alcuni problemi polmonari che avrebbero inciso profondamente sul suo stato di salute. Le autorità tedesche, ad un certo punto, trasferirono i prigionieri, tra cui appunto mio padre, in un campo molto più grande a Moosburg, grossa città della Baviera. Di lì furono aperte le barriere in prossimità dell’arrivo dei russi. Mi raccontò che gruppi di italiani prigionieri si avviarono a piedi portando, in carrozzelle combinata con le ruote di biciclette, anche qualche commilitone invalido. Fecero questa lunga strada e poi arrivò il momento in cui rientrarono nel suolo patrio baciando la terra”.
Leggendo il diario, infatti, ad un certo punto il racconto di Eduardo Limongi si spalanca alla speranza e alla gioia della libertà ritrovata: “28 aprile, tramonto. La sbarra al confine si alza per lasciarci passare: ci prostriamo a baciare la terra d’Italia e proseguiamo, nella breve pianura, per raggiungere la strada che porta a Malles. Siamo subito notati dalle popolazioni, che si avvicinano e portano pane e quant’altro hanno”.
Tra le pieghe del suo libro di prigionia si legge anche: “Il campo (di Vilingen, ndr) non è molto grande; vi sono serbi, polacchi, russi, belgi e francesi. Tutti sono con noi cortesi ad eccezione degli ultimi, che ci disprezzano”. E poi: “Il Tenente Barbaro chiede ed ottiene, dalle autorità del campo, di rimanere al lager per assistere gli italiani che, intanto, sono giunti numerosi e dalla Francia e dalla Grecia”.
“A Villingen gli internati erano impiegati principalmente nei distaccamenti che fornivano manodopera alle aziende agricole o nei lavori stradali – aggiunge il nipote di Eduardo, Corrado Limongi, docente di storia e filosofia e Dirigente scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore “Leonardo da Vinci” di Sapri e dell’Istituto Comprensivo “Teodoro Gaza” di San Giovanni a Piro – Dopo la prigionia mio nonno riorganizzò nel 1945 la banda ‘Giacomo Puccini’ di Maratea unendola alla ‘Giuseppe Verdi’ di Verbicaro ed ottenendo un complesso di giro che ebbe un periodo aureo molto apprezzato fino al 1951. Quindi si trasferì in Sicilia, a Rosolini, a pochi passi da Noto, avendo vinto il concorso da Direttore della scuola di musica comunale e della banda municipale. Insegnò a Noto al Magistrale nei primi anni ‘50″.
Quando chiediamo a Biagino Limongi cosa direbbe oggi suo padre ai giovani in occasione della Giornata della Memoria, risponde: “Astenetevi dalla guerra e guardate acriticamente al mondo ed alla politica. La guerra è sempre da evitare perché è un seguito di morte, fame e disperazione a cui non c’è mai rimedio”.