Lettera aperta della professoressa Franca Cancro Cimino
Carissime amiche, carissimi amici, le parole che propongo oggi alla vostra paziente lettura mi sono state suggerite da una bellissima notizia riguardante l’autorizzazione concessa alla parlamentare spagnola, cattolica e praticante, Isabel Benjumea, di allestire un presepe nella sede del Parlamento europeo. L’articolista, opportunamente, sottolinea che l’evento è il primo nella storia del Parlamento europeo. La notizia ha rinfrancato il mio spirito affranto, da un mese, da una congerie di messaggi pubblicitari, servizi giornalistici, stralci di discorsi di politici, celebrità ed intellettuali che, parlando del Natale, abilmente glissano sull’essenza vera di questo momento magico dell’anno cristiano, ricorrendo a formule e perifrasi che non sfuggano mai al rispetto dell’unica legge, oggi, ritenuta degna della massima osservanza: la correttezza politica del linguaggio.
Gli auguri più innocenti sono “Buone Feste” ma espressioni molto gradite risultano “vacanze invernali“, “festa della luce“, “un po’ di meritato riposo” e il neopagano augurio “Buona vita“. Non manca mai, poi, il diplomatico “Augurissimi!“, perfetto per non offendere nessuno. Non c’è film, pubblicità, servizio giornalistico che ci mostri una famigliola intenta ad allestire un presepe, non una, non una sola volta, neanche per sbaglio. Unica eccezione, ma non cristianamente qualificante, il servizio annuale su San Gregorio Armeno che illustra, essenzialmente, la bellezza del presepe quale prodotto artistico.
Il culmine poi dell’afasia spirituale dei nostri tempi è raggiunto da note marche di dolciumi che suggeriscono ai bimbi di mangiare e vivere i loro biscotti come “condivisioni, gesti d’amore, emozioni e sfogliare il calendario Kinder che rende più magica l’attesa“. Di cosa? Altri dolciumi? Così mi sono chiesta: ma quanti siamo i cattolici in Italia? Un recente censimento dei primi mesi del 2021 realizzato da un istituto statistico nazionale riporta questi dati: su 59,26 milioni di italiani si dichiara cristiano il 79,6%, cattolico il 74,5, ateo o agnostico il 15,3, il 5,1 professa altri credi. La domanda dunque: ma tra tutti i diritti di tutte le minoranze sempre protagoniste di agguerrite campagne portate avanti da influencer e liberi pensatori, da quelli, insomma, che piacciono alla gente che piace, avremmo noi, anche noi che minoranza non siamo, il diritto di vederci rappresentati in questi messaggi natalizi? Sì, certo che sì! E perché allora non succede? La risposta è in parte in quel “bellissima” con cui ho definito la notizia del presepe al Parlamento europeo, nel ritenere straordinario qualcosa che solo qualche decennio fa costituiva la norma e non offendeva la laicità di nessuno Stato.
La mia esclamazione di gioia per quel presepe è figlia di un lungo processo che ha investito la società occidentale e la cultura europea dalla metà del secolo scorso, sebbene le sue radici storiche siano più profonde. E’ figlia di quella rinuncia delle neonate istituzioni europee ad inserire tra i propri valori fondanti le radici giudaico-cristiane. Processo che, nel corso degli anni, si è dipanato attraverso acquisizioni sempre più coraggiose: dapprima un ridimensionamento morbido del significato del Natale, poi un progressivo svuotamento di senso dell’evento unico e ineludibile che ha inaugurato la storia della nostra salvezza, infine un’ostinata opera di cancellazione di questo senso con la relativa sostituzione del simbolo a noi più caro con un albero, un bel simbolo neutro che parla di vita, luce e colori. Il problema è che il presepe ti interroga, ti coinvolge, ti chiede scelte, propositi e coraggio. L’albero no, è solo bello, neutro e bello, ma soprattutto non ti fa domande.
La protervia di queste operazioni non deve stupirci giacché trova la sua genesi nella nostra ingenuità, nell’ingenua sicurezza di chi avendo alle spalle 2000 anni di Cristianesimo ha ritenuto di poter accogliere nuovi costumi e tendenze per puro spirito di inclusività, di chi, forte di quei 2000 anni, non ha ritenuto di opporsi a veri e propri espropri culturali e religiosi, ha, generosamente aperto le porte all’altro da sé ma relegando il proprio sè in posizioni sempre più marginali. Nel corso dei decenni ogni cambiamento, ogni moda è stata da noi accolta con generoso entusiasmo, ritenendo di aderire solo a qualcosa di bello, di esotico che faceva sentirci in sintonia col mondo. Dunque, perché no? Interprete, insieme a tanti, di quel “NUOVO ” da accogliere prontamente, un giovane di 27 anni, mio padre, che nel lontano 1947 a Savoia di Lucania realizzò per un bambino di 3 anni, mio fratello Tonino, il primo albero della storia di quel piccolo angolo di mondo. Era un robusto ramo d’abete decorato solo con mandarini, nastri, rosette fritte e candele, tante candele ingegnosamente fissate da mia madre con le pinze del bucato. Accese le candele, l’effetto fu splendido, vicini e familiari corsero a salutare la novità la cui bellezza fu confermata dalle corse gioiose che mio fratello faceva dall’albero al capo opposto della stanza. Quell’albero fu il benvenuto perché “affratellato” al bellissimo presepe che occupava un’intera parete, il Presepe, protagonista assoluto del Natale dei miei. Era insomma un “insieme a” e non un “al posto di”. Oggi no, nuovi simboli, propagandati e mercificati oltre misura non sono “insieme” ma piuttosto, furbescamente “contro” il senso del Natale. Ma noi glielo abbiamo lasciato fare inermi e silenti, quando qualcuno si è detto “disposto a rinunciare ai simboli cristiani per la pace con altre fedi“, quando splendide chiese europee sono state ridotte a palestre e discoteche, quando un pagano coniglio di cioccolato ha sostituito l’agnello pasquale, dono rituale per noi bambini d’altri tempi; e ancora ci mettiamo del nostro ogni giorno, quando atei dichiarati declamano in chiesa i loro deliranti programmi, quando un nostro fratello è perseguitato e pronunciamo parole flebilmente accorate, temendo di indicarne i colpevoli; ci mettiamo del nostro quando chi si professa cattolico lo fa per lurido calcolo elettorale e gli crediamo.
Personalmente non voglio metterci del mio e a chi dovesse augurarmi “Buona vita” risponderò con cristiana vis polemica: “Gesù Bambino ti arrechi ogni bene!!!”