Dopo una complessa attività investigativa su disposizione della Procura della Repubblica di Potenza, i Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Potenza hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal Gip di Potenza nei confronti di un dirigente dell’Eni all’epoca dei fatti responsabile del Centro Oli di Viggiano. Il procedimento riguarda, in qualità di indagati, alcuni dirigenti della compagnia petrolifera, ma anche pubblici ufficiali del Comitato Tecnico Regionale della Basilicata il cui compito era quello di controllare l’attività estrattiva dell’Eni.
Sono indagate 13 persone e l’Eni. Le indagini hanno preso il via nel gennaio 2017, in coincidenza con il rilevamento di un copioso recapito di idrocarburi nel depuratore dell’area industriale di Viggiano, nei pressi del Centro Oli. I militari, eseguiti numerosi sopralluoghi nell’area industriale, nel febbraio 2017 individuarono, lungo il perimetro esterno del Centro Olio, un pozzetto nel quale defluivano incessantemente acque miste a idrocarburi del tutto simili a quelle ritrovate nel depuratore. Fu sequestrato il pozzetto e i campioni dei liquidi prelevati dallo stesso e dal depuratore risultarono sovrapponibili. Ulteriori accertamenti chiarirono che gli idrocarburi dispersi dal Centro Oli si erano insinuati nella rete fognaria consortile attraverso le crepe e il deflusso contaminava il reticolo idrografico della Val d’Agri non distante dall’invaso del Pertusillo. La Procura della Repubblica di Potenza, avvalendosi dell’ausilio tecnico di un consulente, ha disposto un’ispezione locale eseguita il 6 marzo 2017 su tutta l’area industriale di Viggiano, compreso il reticolo idrografico, con il supporto del Noe. La fonte della perdita di idrocarburi fu individuata nei serbatoi di stoccaggio del greggio stabilizzato.
Le indagini hanno messo in evidenza la grave compromissione della capacità di tenuta dei serbatoi in cui era contenuto il greggio estratto, caratterizzati dalla presenza di fori passanti sul fondo dei tanks che avevano dato luogo a perdite di prodotto mai comunicate agli organi competenti, che i serbatoi, all’epoca, erano privi dei doppifondi, misura precauzionale di evidente importanza per evitare la dispersione nell’ambiente del greggio stabilizzato. Da un quadro investigativo ampio è stato possibile ricavare i profili del delitto di disastro ambientale e quindi non solo la contaminazione e la compromissione di 26mila metri quadrati di suolo e sottosuolo dell’area industriale di Viggiano e del reticolo idrografico a valle dell’impluvio denominato “Fossa del lupo”, ma anche la compromissione di una vasta area a cavallo degli impianti Eni e dell’invaso del Pertusillo.
– Chiara Di Miele –