Servono più studi clinici per sapere se la cannabis funziona, per quali malattie, con quali esiti, a quali dosaggi e che effetti collaterali produce. Questo è necessario perché si possa utilizzare come un farmaco che possa essere approvato per indicazioni terapeutiche. Questo è il messaggio che viene lanciato dalla prima Conferenza italiana su “La cannabis come possibile farmaco”, tenutasi presso l’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.
“Perché un farmaco possa entrare nell’armamentario terapeutico deve dare prova di qualità, efficacia, sicurezza” chiarisce Silvio Garattini, direttore dell’’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Stabilire la qualità di un estratto da pianta, come la cannabis, è difficile perché la composizione varia con il variare del terreno di coltura o la temperatura, per esempio. Inoltre, la cannabis contiene centinaia di composti e diversi principi attivi con diverse concentrazioni, che interagiscono tra loro.
L’efficacia si valuta seguendo un iter che permette di stabilire per quali indicazioni terapeutiche vada utilizzata, le dosi appropriate, le possibili interazioni. Le prove scientifiche ad oggi disponibili non sono conclusive, mancano dati a supporto di un rapporto rischi-benefici vantaggioso. C’è una certa evidenza che la cannabis abbia un effetto sulla spasticità in persone con sclerosi multipla. La sicurezza va valutata anche in termini di effetti collaterali a lungo termine. Da studi di coorte è chiara l’associazione tra uso di cannabis e schizofrenia e altri sintomi psicotici, in particolare negli adolescenti. Come per ogni farmaco, inoltre, va richiesto che sia provato il valore terapeutico aggiunto, cioè che venga fatto un confronto con il miglior trattamento disponibile che dimostri una maggiore efficacia, considerando anche la qualità della vita.
Le indicazioni terapeutiche in Italia sono il dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; azione stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia; effetto ipotensivo nel glaucoma; riduzione dei movimenti involontari nella sindrome di Gilles.
Bibliografia: www.repubblica.it – www.marionegri.it –www.rifday.it – www.adnkronos.com