I funghi allucinogeni potrebbero in futuro diventare una terapia contro il male di vivere. La psilocibina, la sostanza contenuta in alcune specie, e nota per i suoi effetti psichedelici, è stata sperimentata in un piccolo studio clinico, su solo 12 pazienti, come trattamento antidepressivo.
I risultati sono stati presentati su Lancet, uno dei più seri e autorevoli giornali medico-scientifici. La ricerca, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Imperial College di Londra, ha coinvolto sei uomini e sei donne, di età compresa tra i 30 e i 64 anni, che soffrivano di depressione in forma grave e avevano già tentato almeno due terapie, senza risultato.
I pazienti hanno preso due dosi di psilocibina, la prima minima, la seconda massiccia, a distanza di sette giorni. In entrambe le occasioni, dopo averla assunta, sono rimasti sdraiati per mezza giornata in una stanza con le luci soffuse, ascoltando musica e affiancati da due psichiatri cui potevano riportare sensazioni e disturbi. Poi sono tornati a casa.
Dopo una settimana dall’ultima dose, tutti hanno riportato una diminuzione dei sintomi che per alcuni è durata almeno tre settimane, e per circa la metà dei pazienti fino a tre mesi. A questo traguardo, metà stava ancora bene, un’altra metà era ricaduta. Indizi interessanti, ma ancora del tutto insufficienti per dire se e quanto possa funzionare, sia per il numero piccolissimo di pazienti, sia per il fatto che nello studio non era presente un gruppo di controllo.
L’idea della psilocibina deriva da studi precedenti degli autori dell’articolo, in cerca di alternative ai trattamenti classici. Questa sostanza, contenuta in quantità diverse nei funghi del genere Psilocybe, ha una struttura chimica simile a quella dell’Lsd e un effetto psicoattivo simile, con allucinazioni e alterazioni della percezione e della coscienza. Inoltre, la psilocibina ha una struttura simile a quella del neurotrasmettitore serotonina, su cui agiscono i tradizionali farmaci anti-depressivi.
Però, gli stessi autori dello studio hanno messo in guardia. Benché il test clinico sia stato considerato promettente, è assolutamente sconsigliato provare il fai-da-te. Occorrono ulteriori studi su un numero più alto di pazienti.
Bibliografia: www.lastampa.it – www.focus.it – www.lescienze.it – www.blastingnews.it