La storia è quella di Asadullah, Fatima e della loro piccola Armaghan, un anno e 5 mesi di pura energia e vivacità. La coppia lavorava e studiava nelle province afghane di Wardak e Bamyan. Lui è ingegnere civile mentre lei collabora con l’organizzazione non governativa JRS (Jesuit Refugee Service). A metà agosto i talebani ritornano prepotentemente a Kabul e riconquistano l’Afghanistan. Asadullah si era trasferito nella capitale per lavorare e studiare. La sua famiglia è rimasta lì, mentre quella di Fatima, invece, è rimasta in Boemia (Bamyan). Fatima ha studiato solo due anni di Ingegneria ed era impiegata negli uffici della JRS insegnando inglese. Incontriamo Asadullah, Fatima e Armaghan a Torre Orsaia, a Palazzo Vassalli, grazie al supporto coordinatrice del SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) Alessandra Ruocco e della squadra del Consorzio Rada con il prezioso aiuto della giovane traduttrice Arianna Pellegrino, volontaria del Servizio Civile nella biblioteca comunale. Dallo scorso settembre vivono in un appartamento del piccolo centro dell’entroterra del Bussento nell’ambito del SAI gestito a Torre Orsaia proprio dal Consorzio Rada.
“Il 14 agosto abbiamo lasciato la Boemia per andare a Kabul, pensando che i talebani non invadessero la Capitale – racconta Fatima – Il 26 agosto siamo andati all’aeroporto di Kabul e poi siamo riusciti a scappare, con pochissime cose“. Con un aereo militare la coppia afghana giunge a Roma. “Ci hanno preso le impronte digitali ed i documenti e siamo andati in una tenda – continua il racconto della giovane rifugiata – Lì siamo rimasti per una settimana assieme ad altri rifugiati. Poi siamo stati spostati a Napoli e siamo stati sottoposti a controlli sanitari per il Covid. Ci hanno, successivamente, proposto una piccola città in provincia di Salerno, Torre Orsaia, per essere accolti e siamo arrivati qui“. A settembre sono stati accolti e ricevuti dal sindaco di Torre Orsaia, Pietro Vicino.
Mentre Armaghan continua a giocare la 26enne Fatima ricorda le prime settimane a Torre: “All’inizio non è stato facile poiché c’erano solo l’avvocato Rocco, l’insegnante Rachele ed un’assistente sociale a parlare inglese. La prima parola che abbiamo imparato è ‘ciao’. Infatti, riuscivamo solo a salutare dalla finestra le persone che passavano in strada. Poi, piano piano, abbiamo proseguito, ad esempio, con ‘Come ti chiami?’. L’italiano è una lingua interessante ma molto difficile perché va praticata. Riusciamo a capire molte parole, ma ancora abbiamo difficoltà ad esprimerci. Vogliamo integrarci e garantire a noi stessi ma soprattutto a nostra figlia un futuro senza alcuna forma di violenza“.
Le passeggiate, il giro per i negozi. La comunità torrese ha iniziato davvero ad adottarli. Quando le chiedo se sperano di ritornare un giorno in Afghanistan, Fatima risponde: “La speranza c’è, ma per il momento è impossibile tornarci, la nostra famiglia lì non ha neanche il cibo e le medicine. Tutto è diventato più costoso“.
Si tratta della prima famiglia afghana ospitata dal SAI di Torre Orsaia da quando i talebani hanno occupato nuovamente lo Stato.