Medici dell’ospedale “San Carlo” di Potenza tra gli autori di un lavoro pubblicato sulla rivista scientifica “Clinical Genetics”, coordinato da alcuni medici dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e che ha coinvolto vari centri italiani.
Il contributo all’articolo fornito dai medici del nosocomio potentino, Nicola Paciello della Neurologia e Marilena Di Giacomo della Anatomia patologica e Genetica, è stato nel selezionare un paziente adulto ricoverato nella Neurologia del “San Carlo” per una crisi epilettica causata da una malformazione cavernosa cerebrale.
L’Azienda Ospedaliera Regionale si è congratulata con i medici per lo studio realizzato e perché “ricerca, innovazione e alta specialità siano la guida per migliorare costantemente l’offerta ospedaliera e per promuovere azioni virtuose volte alla soddisfazione delle domande di salute dei cittadini che si fanno sempre più esigenti. Lo studio del DNA e la comprensione dei meccanismi eziopatogenetici delle malattie genetiche rappresentano la chiave di volta per la scoperta di nuove strategie di prevenzione e terapia. Ci inorgoglisce che il 2021, con tutte le difficoltà legate alla pandemia, abbia un inizio di respiro internazionale e l’auspicio è quello di continuare su questa scia”.
L’analisi genetica ha identificato una mutazione nel gene PDCD10 con caratteristiche peculiari e che non era mai stata descritta in letteratura. La malformazione cavernosa cerebrale familiare è una patologia genetica rara caratterizzata da lesioni vascolari cerebrali che possono essere asintomatiche o causare segni neurologici come crisi epilettiche, cefalee, deficit neurologici focali o emorragie. L’identificazione di mutazioni in uno dei geni responsabili che sono KRIT1, MGC4607 o PDCD10 è molto importante in quanto consente un adeguato inquadramento clinico-diagnostico, fornisce indicazioni per il follow-up degli affetti e permette di estendere l’analisi ai familiari a rischio. Trattandosi di una malattia a trasmissione autosomica dominante, è possibile che in una famiglia ci siano molti affetti. La malattia può esordire anche in età adulta, infatti il paziente dello studio ha 33 anni.
Lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista “Clinical Genetics” si è focalizzato sull’analisi di 5 particolari varianti genetiche, definite di “splicing”, al fine di verificarne l’impatto funzionale sul prodotto proteico e ha consentito di avvalorarne il ruolo causativo. Il lavoro dimostra il ruolo fondamentale delle indagini genetiche che consentono non solo di confermare diagnosi sospette, ma anche di fornire dati importanti per la ricerca di base e quella traslazionale.
– Chiara Di Miele –