È stata attraversata da un persistente dolore la vita di un 25enne di Avellino che per anni ha lottato contro un nemico invisibile e sconosciuto. La febbre con cadenza settimanale, dolori articolari, stanchezza cronica, un susseguirsi di incognite che da quando aveva 7 anni si sono protratte fino a poco tempo fa. Nel 2020 infatti, al giovane paziente è stata diagnosticata una malattia genetica rarissima.
Si tratta della Sindrome Rosah, distrofia retinica, edema del nervo ottico, splenomegalia, anidrosi e cefalea, di cui sono affette una ventina di persone al mondo e soltanto una in Italia. La malattia è stata identificata a Boston per la prima volta proprio nel 2020 quando i ricercatori hanno effettuato una completa sequenza del genoma umano del ragazzo che ha evidenziato un’alterazione dell’Alfa Chinasi 1( ALPK) che determina una mutazione cromosomica con conseguente attivazione del sistema innato e quindi un’infiammazione cronica che si traduce in febbre ricorrente, affaticamento, artrite, incapacità di sudare, esofagite, ipoplasia dello smalto dentale e lesioni di organi importanti come l’occhio, fino alla distrofia retinica con perdita totale della vista.
Nessun centro d’eccellenza è riuscito a diagnosticare la malattia finché all’età di 15 anni il ragazzo ha iniziato ad avere danni alla retina con una leggera perdita della vista, tenuta a bada con somministrazione di cortisone. Anche l’Ospedale Gemelli di Roma, impossibilitato a configurare la patologia, ha suggerito al paziente di recarsi a Boston e poi a Washington dove hanno isolato il genoma e individuato l’alterazione cromosomica. In seguito, dopo aver rintracciato un altro paziente americano con la stessa malattia e le stesse caratteristiche cliniche, anche la patologia di cui soffriva il ragazzo di Avellino ha avuto finalmente un nome. Soltanto sei mesi fa egli Stati Uniti il paziente ha iniziato la terapia che consiste nell’assunzione di un farmaco capace di contrastare l’interleuchina 1, proteina infiammatoria che crea danni a vari organi, e quindi in grado di bloccare la febbre e le altre manifestazioni.
Il farmaco non ha agito sulla distrofia retinica che gli sta causando una graduale perdita della vista. Tutti le persone colpite da questa malattia multisistemica hanno infatti perso la vista all’età di 30anni, ad esclusione di due casi che sono stati trattati con il Tocilizumab, farmaco anche utilizzato nella tempesta citochinica da covid e sembra che abbiano risposto bene.
Per la terza volta al mondo è stato somministrato questo farmaco anche al ragazzo irpino, in cura attualmente presso il reparto di Immunoreumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, diretto dal Professore Massimo Triggiani. È stato il “National Institute of Health di Washington”, riferimento Internazionale nell’ambito della sanità e nello specifico la Professoressa Cristina Kozycki, massima autorità nella cura delle malattie rare, a contattare il dottore Paolo Moscato, Reumatologo del Ruggi, per affidargli il paziente.
“Questa telefonata è giunta del tutto inaspettata – dichiara il dottore Moscato coadiuvato dalla dottoressa Anna Merchionda e dalla dottoressa Gabriella Loi – Faremo del nostro meglio per gestire con competenza la patologia in questione, grazie ad un lavoro di squadra che vede coinvolti anche il Professore Luca Cantarini dell’Università di Siena, esperto in malattie autoinfiammatorie, gli oculisti Professore Nicola Rosa e Professoressa Maddalena De Bernardo e la dottoressa Valentina Giudice, ricercatrice presso il Reparto di Ematologia diretto dal Professore Carmine Selleri, con la speranza che i farmaci somministrati al giovane di Avellino blocchino il processo di perdita della vista. Il Centro di Immunologia del ‘Ruggi’, tra i pochi presenti in Italia, è stato nominato Centro D’Eccellenza Europea per le Malattie Rare e insieme al Centro di San Giovanni Rotondo”.
La Direzione Strategica del “Ruggi” ha accolto con molto entusiasmo la notizia di essere stato scelto da Washington quale ospedale di riferimento per la cura dell’unico paziente in Italia colpito dalla sindrome Rosah e assicura totale disponibilità e assistenza.