Spaccio di stupefacenti, anche all’interno del Carcere di Potenza, riciclaggio e autoriciclaggio dei proventi dell’illecita attività collegata al traffico di cocaina e hashish e truffe ai danni dell’INPS. Sono i capi di accusa che, a vario titolo, pendono sui 23 indagati coinvolti nell’operazione portata a termine all’alba di ieri dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Potenza e dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Sala Consilina diretti dal Capitano Veronica Pastori, su disposizione della DDA di Potenza. In carcere sono finiti Luigi e Christian Terruzzi, due fratelli di Sala Consilina, la moglie del primo, Michelina Ginnetti, e un suo sodale, Pietro Paladino. Ai domiciliari la sorella dei Terruzzi e un agente di Polizia Penitenziaria all’epoca dei fatti in servizio presso la struttura detentiva potentina.
Nel contesto preso in esame dagli inquirenti Luigi Terruzzi figura come capo del sodalizio con capacità decisionali, Paladino come fornitore della droga, Christian Terruzzi e Michelina Ginnetti partecipi dell’associazione con il compito di acquistare, smerciare e anche introdurre in carcere lo stupefacente e di riscuotere i proventi dell’attività illecita a nome di Luigi Terruzzi.
Per tutti gli altri indagati, a vario titolo, è scattata la misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria e del divieto di esercitare uffici direttivi di persone giuridiche e imprese. Cinque le società sequestrate, insieme ad oltre 2 kg di stupefacenti e denaro per circa 100mila euro.
Da un lungo lavoro di indagine svolto in maniera certosina dai militari del Nucleo Operativo di Sala Consilina e dalle Fiamme Gialle potentine viene fuori la meticolosa capacità organizzativa di Luigi Terruzzi, anche nei periodi di detenzione in carcere, che sarebbe riuscito a realizzare un’attività di spaccio nella Casa Circondariale “A. Santoro” per poi reimpiegare il denaro di provenienza illecita mediante società fittiziamente intestate a prestanome, incrementando le entrate con un collaudato sistema di truffe all’INPS attuato tramite fittizie assunzioni di lavoratori a favore dei quali l’ente previdenziale corrispondeva indennità non dovute, tra cui la disoccupazione.
Nel Carcere potentino l’aiuto di un agente della Penitenziaria infedele avrebbe permesso di introdurre beni e utilità vietati dall’ordinamento. Da rilevare che non sarebbe stato possibile per quest’ultimo aiutare il sodalizio nell’introduzione di droga perché trasferito nel frattempo in un altro Istituto penitenziario. In cambio però del suo supporto per far entrare beni vietati il poliziotto avrebbe ricevuto vari regali, tra cui un orologio, formaggi, bottiglie di alcol e confezioni di caffè che avrebbe ritirato nel piazzale di un distributore di carburanti dopo essersi incontrato con Christian Terruzzi in più di una occasione, così come ricostruito dagli inquirenti (Luigi Terruzzi dice ai familiari: “Una volta che gli abbiamo dato questi ci siamo fatti la strada. Quant’è farlocco, quello mi porta tutto“, mentre la moglie in un’altra circostanza afferma: “Senza mangia mangia non si fa niente, vogliono tutti mangià. Se mangiano ti aiutano, sennò niente“). L’agente risulterebbe quasi asservito alla famiglia Terruzzi, tanto da consentire addirittura a Luigi di usare la sua utenza telefonica per scambiare messaggi all’esterno del carcere con il fratello Christian. Dopo il suo trasferimento in un altro penitenziario i membri del sodalizio avrebbero optato per introdurre la droga in carcere attraverso pacchi postali destinati ai detenuti, nascosta tra alimenti e vestiti.
Tra le varie “operazioni” illecite intercettate dagli inquirenti ne emerge una relativa all’introduzione in carcere di un involucro che il fratello di Luigi Terruzzi, secondo sue indicazioni, avrebbe dovuto lasciare nei pressi dei bidoni dell’immondizia per essere poi recuperato da uno dei detenuti ammessi allo svolgimento di lavori all’interno dell’Istituto e che successivamente lo avrebbe introdotto nella struttura (“Quando entri nel cancello lo butti nel bidone dell’immondizia…quello dell’articolo 21 esce per buttare la spazzatura e lo porta dentro“).
Dalle intercettazioni vengono fuori anche delle lettere in stile “pizzini” che Luigi Terruzzi avrebbe inviato al fratello per poi farle consegnare ai suoi sodali (“Ieri ti ho mandato una lettera, dentro ci ho messo altre tre lettere e ci sono scritti i nomi delle persone a cui devi darle“). Il linguaggio è quasi sempre criptico, come si sovviene in questo genere di contesti: per parlare della droga da introdurre in carcere usano dire “2 o 3 panini e una fragolina“. Le lettere, dunque, diventano il metodo utilizzato per nascondere messaggi da probabili indagini.
Poi le diverse società intestate a terzi prestanome ma materialmente gestite da Luigi Terruzzi e dai suoi stretti familiari e le truffe all’INPS con la presentazione di dichiarazioni di assunzioni fittizie per altri soggetti, tra cui compagni di cella o parenti, per il periodo necessario alla maturazione della NASpI destinata a chi perde il lavoro dopo aver prestato la sua opera alle dipendenze di qualcuno per 6-8 mesi (“Queste assunzioni mi serve che stai un anno assunto e poi si fanno ‘a disoccupazione“). Gli indebiti vantaggi fatti avere tramite l’INPS sarebbero poi stati restituiti ai Terruzzi (“Informati quando …omissis…finisce la disoccupazione che lo assumiamo, che po’ ‘a disoccupazione me l’aggia piglià io…“). A tutto ciò si aggiungono le cessioni di stupefacenti effettuate, in maniera ordinaria, anche al di fuori del carcere e soprattutto nel Vallo di Diano.
Ricordiamo che il procedimento versa attualmente nella fase delle indagini preliminari e per tutti gli indagati vige il principio di presunzione di innocenza fino ad eventuale sentenza definitiva di condanna. Diversi i legali valdianesi chiamati ora a rappresentare le istanze di gran parte degli indagati, tra cui gli avvocati Massimo Puglia ed Erminio Cioffi Squitieri.
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