Un sottotipo di anticorpi utile per la diagnosi precoce della celiachia nei bambini. Lo rivela lo studio CDGEMM (Celiac Disease, Genomic, Microbiome and Metabolomic) realizzato in collaborazione con la Fondazione Ebris di Salerno e pubblicato dal’American Journal of Gastroenterology. Lo studio è coordinato dal professor Alessio Fasano, presidente della Fondazione Ebris e Direttore di Gastroenterologia Pediatrica e Nutrizione al Massachusetts General Hospital di Boston della Harvard Medical School, ed è stato messo a punto da esperti pediatri americani e italiani. Il primo autore è il pediatra salernitano Francesco Valitutti, responsabile del Coordinamento operativo nazionale dello studio CDGEMM in Italia.
Proprio il dottor Valitutti, che gentilmente si è lasciato intervistare da Ondanews, approfondisce gli aspetti peculiari dell’importante studio sulla celiachia pediatrica.
- Dottore, in cosa consiste nello specifico lo studio CDGemm (Celiac Disease, Genomic, Microbiome and Metabolomic)?
Il progetto di ricerca CDGemm è uno studio multicentrico coordinato dal Prof. Alessio Fasano (Harvard, Boston) e promosso da un team multidisciplinare di dottori e scienziati americani e italiani. Il progetto ha come base logistica/operativa la fondazione EBRIS di Salerno. Lo studio è nato con l’intento di comprendere meglio i diversi fattori che possono contribuire allo sviluppo della celiachia, analizzando possibili marcatori precoci quali modifiche del microbiota sulle feci (secondo la vecchia definizione flora batterica intestinale) dei bambini a rischio genetico. La celiachia è una malattia immunomediata causata dal glutine (proteina contenuta in alcuni cereali come grano, orzo e segale) in soggetti geneticamente predisposti. Il 40% della popolazione italiana nasce con una predisposizione alla celiachia, ma solamente l’1-2% svilupperà di fatto la malattia.
- Che impatto avrà questa scoperta sulle modalità di diagnosi della celiachia?
In quest’ultimo lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista American Journal of Gastroenterology è stato identificato in un sottotipo di anticorpi (antigliadina deamidata di tipo IgG) un possibile segnale precoce dello sviluppo della celiachia nei bambini geneticamente predisposti: un aumento di questi anticorpi nel sangue sembra precedere di 6-12 mesi la positività degli anticorpi anti-transglutaminasi, che sono invece quelli classicamente utilizzati per la diagnosi di celiachia. Tali anticorpi vengono valutati tramite un prelievo del sangue: una volta chiarito l’impatto che questa scoperta può avere sulle modalità di diagnosi della celiachia, non sarà difficile implementarne il suo utilizzo nei soggetti a rischio nella prima infanzia. E’ da precisare però che al momento lo screening della celiachia rimane basato sugli anticorpi anti-transglutaminasi IgA abbinato al dosaggio delle IgA sieriche, gli unici esami da richiedere, e il nostro lavoro non determina ad oggi un cambiamento della pratica clinica quotidiana nei soggetti non a rischio genetico e di ogni età.
- Come spiega l’aumento di diagnosi di celiachia nei bambini in questi ultimi anni?
Da un lato c’è sicuramente maggiore consapevolezza dei sintomi/segni da parte della comunità medica, dall’altro c’è un reale aumento legato a fattori non del tutto noti (squilibrio del microbiota intestinale?, alimentazione?, inquinamento?). In molte zone del mondo l’aumento della prevalenza è sicuramente legato all’aumento del consumo di glutine, cosa che però vale poco per il nostro Paese dove il consumo di glutine è sempre stato considerevole. Il nostro progetto cercherà di dare risposte anche in questo senso.
- Crede che anche grazie allo studio CDGemm sarà possibile in futuro interrompere l’evoluzione di questa malattia?
La speranza è di poter identificare una serie di marcatori in fasi molto precoci della malattia in maniera tale da interferire con l’ulteriore decorso verso la malattia conclamata e, magari, non necessitare in futuro della dieta senza glutine. Questo rientra in un’ottica futuribile di medicina personalizzata che è sostenuta dalle scienze “omiche” (genoma-microbioma-metaboloma), in cui ciascun individuo potrà essere caratterizzato in base ai suoi geni e a quelli del proprio corredo microbico, alla loro espressione e al metabolismo complessivo di questa interazione tra uomo, batteri e ambiente.