Enrico Salvati, 35enne originario di Montesano sulla Marcellana, tra i ricercatori più influenti del 2021 per l’impatto scientifico. È quanto emerge dallo studio condotto dall’Università di Stanford e aggiornato annualmente, pubblicato dalla rivista internazionale “Plos Biology”. La ricerca fa riferimento all’impatto della produzione scientifica registrato nell’ultimo anno (2021) e nell’intera carriera degli scienziati e delle scienziate. Un risultato che ha premiato l’Università di Udine, dove Salvati lavora, con ben 49 presenze di docenti e ricercatori citati nello studio.
Il giovane ingegnere è entrato nell’olimpo dei ricercatori più apprezzati a livello internazionale grazie ad una sua ricerca che si occupa della fatica dei materiali ovvero analizza il loro deterioramento dopo ripetuti sforzi.
- A soli 35 anni la Stanford University l’ha descritta come uno dei ricercatori più influenti al mondo. Come inizia la sua storia di ingegnere e ricercatore?
La mia carriera da ricercatore inizia quasi per caso nel 2012 all’Università di Ferrara dopo aver conseguito la laurea magistrale in Ingegneria meccanica qualche mese prima, nel 2011. In realtà all’epoca la mia ambizione era quella di diventare un progettista meccanico. Per una serie di eventi, i miei interessi si sono gradualmente spostati sempre più verso aspetti di ricerca e meno su problematiche prettamente ingegneristiche. Ho deciso di fare il grande salto solamente nel 2014 quando mi sono trasferito in Inghilterra per intraprendere un dottorato di ricerca all’Università di Oxford. Da quel momento, complice un’atmosfera altamente stimolante in cui mi trovavo, e guidato dalla forte curiosità nello scoprire i fenomeni fisici che governano il comportamento dei materiali, mi sono concentrato quasi completamente su problemi scientifici, senza tralasciare implicazioni di questi nella pratica ingegneristica.
- Perché ha intrapreso questa strada?
Ho intrapreso questa strada in maniera abbastanza naturale. Le varie esperienze post laurea mi hanno permesso di esplorare questo mondo che mi ha appassionato sin da subito. Mi affascina la possibilità di dar sfogo alla mia curiosità e fantasia, pur mantenendo un certo rigore metodologico, per esplorare questioni scientifiche tutt’altro che dipanate. La ricerca di cui ho deciso di occuparmi permette di contribuire allo sviluppo tecnologico della nostra società in maniera sostenibile; le soddisfazioni che si ottengono quando si realizza che il prodotto della ricerca ha un impatto positivo anche sul sociale sono impareggiabili.
- La sua ricerca si occupa della fatica dei materiali ovvero del loro deterioramento dopo sforzi ripetuti. Una questione economica e sociale, dunque. Vuole spiegarcela?
Oltre l’80% delle rotture in componenti o strutture metalliche avviene a causa di questo fenomeno. Evitare questo tipo di cedimenti è molto complesso e richiede un grosso sforzo economico, non solo in fase di progettazione ma anche in fase di monitoraggio e manutenzione dei prodotti ingegneristici. Sfortunatamente diversi disastri hanno avuto luogo a causa di questo fenomeno: ad esempio il disastro ferroviario di Viareggio nel 2009 oppure lo sfortunato incidente mortale del campione di Formula 1 Ayrton Senna nel 1994. Non stiamo solamente parlando di perdite di vita ma anche di considerevoli aggravi economici legati alle operazioni di riparazione di strutture collassate a causa della fatica e tutti i costi annessi dovuti alla inservibilità di queste.
- Quanto è importante fare ricerca in Italia e quali sono le difficoltà?
Fare ricerca in Italia, come negli altri Paesi, è fondamentale per garantire un futuro di crescita economica, di innovazione e soprattutto di benessere al territorio. Le maggiori difficoltà legate alla ricerca in Italia sono connesse all’acquisizione di finanziamenti per il potenziamento sia delle risorse umane che delle attrezzature sperimentali per l’esecuzione di ricerche all’avanguardia. Di recente diverse azioni sono state intraprese per rafforzare il supporto economico alla ricerca grazie ai fondi stanziati dal PNRR; l’impatto di queste lo si vedrà tra qualche anno.
- Lei è inoltre un giovane professore universitario. Come vede attualmente il mondo accademico italiano?
Il mondo accademico è in continua evoluzione, una importante riforma è stata messa in atto proprio quest’anno e fra qualche tempo capiremo se avrà sortito gli effetti attesi in termini di riduzione della precarietà ed una più rapida stabilizzazione e progressione delle carriere accademiche. Nonostante le università italiane forniscano una formazione di altissimo livello, queste compaiono di rado nelle classifiche mondiali. Dal mio punto di vista, una delle cause è legata alla scarsa attrattività dei nostri atenei nel panorama internazionale. In una società sempre più globalizzata non possiamo permetterci di non essere attrattivi: ancora pochi studenti stranieri decidono di formarsi in Italia. C’è molto da fare in questa direzione.
- La sua è una storia fatta anche di emigrazione: ha lasciato Montesano per formarsi e studiare. Come giudica la fuga dei tanti cervelli?
Ho lasciato Montesano (Arenabianca) insieme alla mia famiglia nel 2002. È stata una scelta coraggiosa da parte dei miei genitori che sicuramente ha influenzato in maniera positiva il mio percorso formativo e professionale. La scelta di continuare la mia formazione all’estero non è stata condizionata dall’impossibilità di fare ricerca in Italia, ma piuttosto dalla voglia di rimettermi in gioco in un contesto internazionale e multietnico. Tanti come me hanno fatto questa scelta per lo stesso motivo e non esclusivamente dettata dall’assenza di possibilità in Italia. Per quanto mi riguarda il tema ‘fuga dei cervelli’ piuttosto lo definirei ‘mancato rientro dei cervelli’. Difatti, dopo aver trascorso un periodo all’estero dove le competenze vengono valorizzate, il rientro in Italia risulta spesso poco attrattivo, soprattutto dal punto di vista economico a lungo termine. Al contrario, più tempo si trascorre all’estero e più si apprezzano le meraviglie e gli altri innumerevoli aspetti positivi della nostra nazione; sensazione che ho condiviso con diversi connazionali all’estero. Alla fine dei conti, la fuga per motivi formativi e di crescita personale la giudico come una cosa estremamente positiva: mi farebbe molto piacere vedere sempre più giovani che riescano a riportare in Italia le competenze ed esperienze acquisite all’estero.
- Un appello, infine, ai tanti giovani studenti?
Il consiglio che posso dare ai giovani studenti di tutte le discipline è quello di non aver paura di mettersi in gioco e di uscire dalla propria zona di comfort. Mettere in conto che questo implica la possibilità di incorrere in momenti di sconforto, ma non può sempre piovere sul bagnato, vi posso assicurare che la perseveranza premia, prima o poi!