Per circa un millennio (dall’alto Medioevo fino ai primi anni dell’Ottocento) il territorio del Vallo di Diano si trovò, come tutte le altre terre del Mezzogiorno, diviso in feudi, ognuno dei quali comprendeva uno e più paesi ed era soggetto alla famiglia nobile che lo aveva acquistato, la quale attraverso un governatore ne amministrava la giustizia e l’ordine pubblico.
Il feudo più vasto del Vallo era quello di Diano, che comprendeva la città arroccata sul colle e i casali di Sassano, San Giacomo, San Rufo, San Pietro e Sant’Arsenio. C’era poi quello di Padula, che comprendeva anche il casale di Buonabitacolo e nella prima metà del Seicento era tenuto dai marchesi d’Avalos d’Aragona. Ebbene, nel 1645 il marchese Diego d’Avalos, con l’assenso della Regia Corte, vendette per 60.000 ducati il feudo di Padula alla Certosa di San Lorenzo, la quale fece tale acquisto non tanto per ragioni di lucro, cioè per godere delle entrate del feudo, quanto per liberarsi dalla soggezione baronale e vivere così indipendentemente sul proprio territorio. Certo, l’acquisto del feudo venne fatto non direttamente dai Certosini, ma attraverso un loro rappresentante, che fu il medico Pietro Ferro. Ma quanto rendeva ai Certosini il feudo di Padula col casale di Buonabitacolo? Poco più di un decennio prima, nel 1630, due funzionari della Regia Camera di Napoli, inviati in loco a calcolare nuovamente il gettito fiscale del feudo di Padula al fine di aggiornarne la tassa dovuta allo Stato (la cosiddetta Adoa), avevano stabilito che tali entrate ammontavano a circa 3000 ducati l’anno, una rendita notevole per quei tempi, che ora veniva ad aggiungersi alle altre, cospicue rendite che la Certosa possedeva e che investiva tutte nell’ampliamento e nella configurazione artistica del monastero, al punto da farne poi, tra Seicento e Settecento, una delle più belle certose europee (che erano, è stato scritto, 271), una specie di Versailles del Mezzogiorno.
Tale agiatezza economica dei Certosini durò fino alla fine del Settecento, quando, in seguito alle nuove istanze politiche e sociali della rivoluzione francese, e all’azione dei governi napoleonici (quelli dei sovrani Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat) nel Regno di Napoli, si giunse non solo alla epocale abolizione dei feudi (legge del 2 agosto 1806), ma anche alla soppressione dei monasteri e, conseguentemente, alla chiusura della stessa Certosa di Padula nel 1807. Alla sconfitta di Napoleone si tentò, con la Restaurazione, di ritornare allo status quo dei tempi antichi, ripristinando tra l’altro i Borboni sul trono di Napoli, ma tutto fu vano. Ormai al vecchio mondo feudale era subentrata un’epoca nuova da tutti i punti di vista (politico, sociale, culturale e religioso), che avrebbe poi portato, attraverso le guerre risorgimentali, all’Unità d’Italia. Per la Certosa di San Lorenzo era iniziato quel decadimento dal quale essa non poté più riprendersi
– Arturo Didier –
FONTE: A. SACCO, La Certosa di Padula, 4 voll., Roma 1914-1930
E’ curioso constatare come sti francesi al pari degli inglesi continuano a far danni da centinaia di anni….e sempre a discapito del popolo italiano.