Che il Vallo di Diano non sia vissuto, nel corso dei secoli, ai margini della storia, ma, al contrario, abbia partecipato attivamente ai grandi eventi che si sono succeduti nel Mezzogiorno, è dimostrato da ciò che avvenne ad Atena alla metà del Seicento.
Come è noto, a Napoli nel 1647 scoppiò la famosa rivoluzione di Masaniello, un moto antibaronale che poi si propagò in tutto il Regno per oltre un anno, attivato dal popolo che insorse contro l’oppressione fiscale esercitata dai baroni nei loro feudi.
Nel Vallo di Diano fu la popolazione del feudo di Atena, che si ribellò apertamente contro il suo barone, Giuseppe Caracciolo, marchese di Brienza e principe di Atena, il quale perpetrava abusi e violenze di ogni genere contro di essa. Alla fine di luglio 1647 il parlamento di Atena inviò a Napoli una delegazione di undici persone incaricata di presentare al vicerè una denuncia contro il principe, denuncia comprendente 43 “capi di gravami” [abusi].
Il 12 agosto, nel designare i notai Fabio Pessolano e Lelio Conte come rappresentanti della città da inviare al vicerè, il parlamento affermava che “con questo principe mai havemo possuto vivere quieti, come tutti sapeno: quando havemo voluto defendere le cose universali [i beni comuni dei cittadini] ci ha fatto morire dentro le carceri, fatto ammazzare animali, fatto abbruggiare massarie, fatte imposizioni et altri infiniti maltrattamenti”.
Nel mese di settembre i cittadini di Atena passano a vie di fatto e saccheggiano il palazzo del principe, poi si rifiutano di pagare i consueti contributi annuali agli amministratori baronali.
Ma il 6 aprile dell’anno seguente, 1648, la resa di Napoli all’armata spagnola di don Giovanni d’Austria capovolge la situazione e mette fine alla rivoluzione. Scatta subito la vendetta del principe Caracciolo, il quale si fa dare dallo stesso don Giovanni d’Austria, diventato vicerè, un contingente di 400 soldati e con essi torna ad Atena e tiene i suoi vassalli sotto il terrore per diciotto giorni. Finisce così la coraggiosa protesta degli atenesi contro il loro barone. Ma tale azione rivoluzionaria non fu inutile, perché fu uno splendido esempio di politica antifeudale, quella politica che poi verrà proclamata e attuata dagli illuministi napoletani nel Settecento.
– Arturo Didier –
FONTE: R. VILLARI, Mezzogiorno e contadini nell’età moderna, Bari 1977 (seconda edizione), pp. 111-123.