Anticamente si riteneva che quelli del Medioevo fossero stati “secoli bui“, subentrati allo splendore dell’epoca romana. Niente di più falso. Infatti nella rinascita della storiografia verificatasi nella seconda metà dell’Ottocento si accertò che, al contrario, nel Medioevo erano state poste le radici della civiltà moderna. A fare questa scoperta furono nel Vallo gli studiosi locali, capeggiati dallo storico teggianese Stefano Macchiaroli, il quale nel suo libro “Diano e l’omonima sua Valle” (1868) pubblicò, in Appendice, le consuetudini, gli statuti e i capitoli di Diano, elaborati e scritti dal famoso Marino di Diano, giurista del Regno di Napoli, il quale quando morì fu sepolto nientemeno che nella chiesa di Santa Chiara di Napoli, chiesa dei sovrani di Napoli, gli Angioini.
Nella scia del Macchiaroli gradatamente furono pubblicati, nel Novecento, gli statuti e capitoli di tutti i paesi del Vallo. A me stesso è capitato, nelle mie ricerche, di trovare e pubblicare, sulla “Rassegna Storica Salernitana”, nel 1999, gli statuti e i capitoli di Monte San Giacomo.
Va detto che tali norme, che per i paesi più antichi del Vallo, Diano ed Atena, sono scritte in latino, regolavano tutti gli aspetti della vita cittadina, dalla protezione delle risorse ambientali (agricoltura e pastorizia), alla vendita delle vettovaglie in piazza, dai contratti matrimoniali ai rapporti economici tra proprietari e contadini, dall’igiene pubblica all’amministrazione della giustizia.
Scendendo nei particolari degli statuti e capitoli di Diano, e fermandoci proprio sull’amministrazione della giustizia, si apprende che essa era tenuta da giudici annuali eletti dal Parlamento cittadino e detti Baiuli, i quali, agendo nel tribunale locale, giudicavano le cause e comminavano le pene ai trasgressori delle norme statutarie della città. I Baiuli controllavano anche i cibi venduti ai cittadini, che dovevano essere di buona qualità, come, ad esempio, le salsicce e i salami, che dovevano essere ben confezionati (“supersatae et farcimina sive salcitiae bene consectae“); e la stessa cosa valeva per i caciocavalli (“equicasei bene confecti, ita quod grattari possint“). E c’era una prescrizione severissima: di ogni prodotto non si poteva vendere più di un chilo, per evitare l’accaparramento della merce al fine di rivenderla a prezzo maggiorato.
Venendo ai contratti matrimoniali, essi contemplavano delle norme che assicuravano alla sposa il mantenimento di diritti che la preservavano da ogni sopruso che potesse esercitare lo sposo nei suoi confronti dopo il matrimonio.
Come si vede, gli statuti e capitoli di Diano medievale costituivano una regolamentazione perfetta della vita comunitaria. Pertanto sono da ritenersi delle esagerazioni le posizioni di alcuni storici dell’Ottocento, i quali sostenevano che nel Medioevo erano continue e inumane le oppressioni esercitate dai potenti in seno al tessuto sociale.
– Arturo Didier –
FONTE: “Consuetudines, statuta et capitula antiquissima civitatis Dianensis”, in appendice al volume S. Macchiaroli, “Diano e l’omonima sua valle”, Napoli 1868, pagg. 187-233.